Con l’inizio ufficiale del Locarno Film Festival, dopo due serate gratuite che hanno richiamato sulla Piazza Grande la magia del cinema sotto le stelle, una voce si è sollevata chiara e potente: non toccate lo schermo! Non uno schermo qualunque, ma quello progettato da Livio Vacchini, geniale architetto ticinese, che dal 1971 dà forma all’anima effimera e al tempo stesso identitaria del Festival.
Il cosiddetto “Schermo Vacchini”, con la sua struttura reticolare unica, è diventato negli anni un simbolo tanto quanto il leopardo, un’icona che fonde cinema, architettura e appartenenza territoriale. È grazie a quella geometria visiva e alla cabina progettata su misura che Piazza Grande si trasforma, ogni estate, nel cuore pulsante della settima arte. Non è solo tecnica: è poesia strutturale, è radicamento culturale, è memoria visiva e collettiva di una città e del suo popolo.
Eppure, oggi, quello schermo rischia di essere archiviato. Per motivi dichiaratamente economici e logistici, l’organizzazione del Festival ha optato per uno schermo più standardizzato, più “pratico”, ma profondamente meno significativo. È una scelta che, pur comprensibile dal punto di vista operativo, ha generato un’ondata emotiva e simbolica tra i locarnesi. Finalmente, verrebbe da dire. Perché questo “cambio di lenzuolo” ha smosso qualcosa di profondo: l’orgoglio di appartenenza, l’identità condivisa, quel senso di “questo Festival è anche nostro” che sembrava sopito da anni di lamentele e indifferenza.
Lo testimoniano le voci che si stanno moltiplicando, anche sui social, come quella di un locarnese trapiantato nella Svizzera francese che ha pubblicamente denunciato la rimozione del Vacchini screen. E lo conferma anche la petizione firmata da venti esponenti autorevoli dei mondi del cinema, dell’architettura e della cultura, tra cui Mario Botta, Silvio Soldini, Renato Berta, Marco Müller, e la stessa Eloisa Vacchini, figlia dell’architetto.
Essi chiedono, con fermezza e rispetto, che:
Non si tratta solo di uno schermo. Si tratta di una visione, di un progetto architettonico che ha fatto scuola, di un’esperienza estetica che fonde urbanità e cinema, di un simbolo che racconta Locarno al mondo. Abbandonarlo in nome della praticità significa rinunciare a una parte della propria anima.
Per questo, oggi, da locarnese e da amante del cinema, vi dico con forza: non toccate quello schermo. Conservatelo, difendetelo, amatelo. Perché nella sua fragile struttura c’è tutta la forza di una storia che ci appartiene. E che vale la pena continuare a proiettare.
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