SPOLIA OPIMA: COME UN DUELLO POTEVA ISCRIVERE NELLA LEGGENDA O MINARE IL POTERE DI UN IMPERATORE
Uno degli aspetti più particolari e più affascinanti della società romana, e nello specifico della concezione militare, è quello inerente alle SPOLIA OPIMA. Come tradurre questo concetto latino? Letteralmente spolia opima è “bottino abbondante”.
Il “bottino abbondante” era infatti l’armatura e le armi del comandante di un esercito nemico che veniva sfidato e ucciso in duello dal comandante, dotato di imperium (ovvero, in questa accezione, comando militare), delle forze romane.
Di fatto, le spolia opima, intese come evento militaresco, sono ciò che è più consuetudine chiamare duello, o singolar tenzone se si guarda all’età medievale.
Il primo grande duello nella storia romana affonda nella leggenda e, stando a ciò che riporta Tito Livio nel suo “Ab Urbe Condita” I, 10, vide protagonista il fondatore stesso della città, Romolo, contrapposto ad Acrone, il sovrano del popolo dei Ceninensi, abitanti del Latius Vetus a pochissima distanza da Roma.
Le azioni del leggendario fondatore di Roma furono la vera e propria guida per il futuro sviluppo di questa usanza: da allora in poi, infatti, coloro che si coprivano di questa gloria militare avrebbero posto le armi strappate allo sconfitto proprio nel tempio di Giove Feretrio fondato da Romolo sul Campidoglio.
Istituzionalmente, esattamente come per il più celebre trionfo, il comandante che vinceva il nemico a singolar tenzone doveva richiedere di poter ottenere l’onore delle spolia opima da Senato: senza l’approvazione di quest’ultimo le spolia opima non sarebbero state riconosciute.
Ma quanti casi conosciamo di duello nel corso della lunga storia di Roma? Sorprendentemente, in maniera ufficiale, escludendo Romolo, abbiamo solamente due casi di spolia opima:
Come abbiamo visto, dunque, ottenere il riconoscimento del deporre le armi del comandante sconfitto era un onore immenso, un onore addirittura superiore a quello conferito dalla cerimonia del trionfo. E tuttavia…tuttavia, con la fine della Repubblica, poteva divenire una pericolosissima possibilità di minaccia al potere del nuovo padrone dei domìni di Roma: l’imperatore.
Anno 28 a.C: vediamo come, dopo una lunga e sanguinosa guerra combattuta contro i Bastarni, popolazione di origine germanica, per la difesa della provincia di Macedonia il proconsole Marco Licinio Crasso, nipote del celebre Crasso omonimo triumviro e autore della disastrosa campagna contro i Parti del 53 a.C.: “uccise il loro sovrano Deldone[…]” (Cassio Dione, Storia Romana, 51, 24). Tuttavia: “[…] e avrebbe dedicato le sue armi come spolia opima a Giove Feretrio, se avesse avuto l’imperium necessario” (Cassio Dione, 51,24).
Le spolia opima non furono concesse dal Senato, lo stesso senato che nello stesso anno veniva revisionato dall’ormai prossimo imperatore, perché, attraverso un cavillo istituzionale di Ciceroniana memoria (“De Republica”, II, 31-32) Crasso non avrebbe detenuto l’imperium necessario per richiedere le spolia opima. Secondo la trattazione ciceroniana, infatti, un proconsole aveva un imperium inferiore rispetto a quello di un console, pertanto non poteva richiedere l’onore massimo.
Augusto fece riferimento al celebre giuramento in vista dell’ultima guerra contro Cleopatra e Antonio (“Res Gestae Divi Augusti” 25): i proconsoli che non si erano schierati contro Antonio, volenti e nolenti, venivano inquadrati some sostenitori di Ottaviano e perciò l’imperium supremo veniva, allora, identificato nel futuro imperatore.
Augusto aveva bene capito che, nella costruzione del suo carisma superiore (auctoritas), riconoscere l’onore massimo militare a qualcuno che non fosse stato egli stesso o un suo familiare avrebbe potuto essere un pericolosissimo espediente per creare un rivale che avrebbe condotto ad un’ennesima guerra civile.
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