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DISSENSO E COSTITUZIONE: QUANDO LA SCIENZA DIVENTA DOGMA

Daniele Trabucco (SSML/Istituto di grado universitario “san Domenico” di Roma).

Nell’orizzonte delle democrazie contemporanee, la linfa vitale dell’ordine costituzionale risiede nella capacità di accogliere, in ambito istituzionale, il confronto tra prospettive differenti, talvolta radicalmente divergenti, purché fondate su un metodo di indagine razionale.

La decisione del Ministro della Salute pro tempore, Orazio Schillaci, di designare i professori Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle quali componenti del NITAG, organismo tecnico deputato a formulare raccomandazioni in materia di strategie vaccinali, si inscrive coerentemente in questa logica, sottraendosi alla riduzione del dibattito scientifico a mera ratifica di orientamenti già consolidati. Le critiche sollevate, spesso formulate nei termini di un’etichettatura ideologica (“no vax”), non si confrontano con il merito delle argomentazioni scientifiche eventualmente sostenute dai soggetti in questione, ma si limitano a collocarli in una categoria pregiudizialmente screditata, operando così una tipica delegittimazione “ad hominem”.

Tale impostazione risulta doppiamente problematica. Sul piano epistemologico, essa confonde il consenso politico-istituzionale con la verità scientifica, come se quest’ultima fosse il prodotto di una decisione autoritativa piuttosto che il frutto di un procedimento di verifica, falsificazione e continua revisione delle ipotesi. Sul piano costituzionale, essa contraddice non solo il principio di libertá della scienza di cui all’art. 33, ma pure gli artt. 3 e 21 del Testo fondamentale, che vietano discriminazioni fondate sulle opinioni e garantiscono la libertà di manifestarle, anche in sede tecnico-consultiva.

La presenza in un organo consultivo di membri che hanno espresso legittimamente e con autorevoli studi posizioni critiche non equivale a un indebolimento dell’efficacia delle sue raccomandazioni, ma al contrario rappresenta una condizione di maggiore robustezza argomentativa, in quanto costringe le posizioni maggioritarie a confrontarsi con obiezioni strutturate e ad affinare la propria coerenza interna. In questo contesto il ricorso, nel dibattito mediatico, alla petizione popolare on line come “prova” dell’inopportunità delle nomine appare ulteriore segno di confusione concettuale: il valore epistemico di una tesi scientifica, infatti, non è misurabile attraverso il numero di adesioni che riceve, poiché esso dipende unicamente dalla qualità metodologica e dalla capacità predittiva delle evidenze su cui si fonda. Invocare, pertanto, il peso di migliaia di firme equivale a sostituire il criterio della verità con quello della popolarità, scivolando in una fallacia “ad populum” che mal si concilia con l’idea stessa di scienza come ricerca del vero. La difesa della salute pubblica, nel quadro di uno Stato costituzionale, non si identifica con la conformità acritica a una linea contingente, bensì con la predisposizione di un ambiente deliberativo in cui la pluralità delle voci, selezionate in ragione della competenza e non dell’ortodossia, consenta di individuare le soluzioni più efficaci e rispettose dei diritti fondamentali. In tale prospettiva, la partecipazione di Bellavite e Serravalle al NITAG non costituisce una minaccia alla coerenza scientifica dell’organo, semmai ne rappresenta, se letta senza pregiudizi ideologici, un rafforzamento strutturale.

La scienza che rinuncia al dissenso interno e alla verifica critica delle proprie ipotesi cessa di essere scienza per trasformarsi in scientismo, ossia in una costruzione dogmatica impermeabile alla revisione, in aperto contrasto con la natura stessa del sapere e con la funzione garantista della Costituzione.

Relatore

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