Cultura

L’ultimo giorno di Cleopatra VII

Cleopatra VII è sicuramente, nell’immaginario collettivo di molte culture, uno dei personaggi storici che destano più fascino: i suoi amori con Cesare, dal quale ebbe anche un figlio ricordato come Cesarione, e, soprattutto, con Marco Antonio sono stati celebrati tanto dalla letteratura (Dante in Inferno,V, 66, la cita velocemente “lussuriosa fu Cleopatra”) quanto dal grande cinema (il “Cleopatra” diretto da Joseph L. Mankiewicz nel 1963 vide interpretare la regina egiziana dalla celebre Elizabeth Taylor).
Tuttavia, nella memoria collettiva, l’evento che si collega immediatamente
all’ultima regina della dinastia lagide è la sua tragica fine: il 12 settembre
dell’anno 30 a.C. Cleopatra, infatti, si tolse la vita. Se il motivo di tale gesto,
che andremo ad esaminare nell’immediato, è conosciuto, la modalità di tale atto è un mistero che è entrato nella leggenda.
Il 12 settembre del 30 a.C. Alessandria d’Egitto, la capitale di quello che fu
l’ultimo regno ellenistico (fondato nel 305 a.C. da Tolomeo I Sotere, amico e compagno militare di Alessandro Magno) è caduta da quasi due settimane.
Marco Antonio, il grande rivale di Ottaviano, dopo un ultimo disperato
tentativo di riappacificazione non vide altra via se non quella di commettere suicidio. Cleopatra oramai era sola e disparata. Pluatrco, in “Vita di Antonio” 82-3 , ci narra i tragici e curiosi avvenimenti precedenti alla sua fine, mostrandoci un ultimo disperato, ma vano, tentativo di trovare una via d’uscita dalle grinfie del destino che le voleva riservare Ottaviano, ovvero la sfilata nel suo trionfo: “Ma a causa di tanto dolore e sofferenza, la assalì la febbre, e lei la accolse come una scusa per astenersi dal cibo e così liberarsi dalla vita senza impedimenti. […] Dopo pochi giorni, Cesare in persona venne a parlarle e a confortarla. […]Dopo che Cesare le ebbe ordinato di sdraiarsi e si fu seduto vicino a lei, iniziò a giustificare in qualche modo la sua condotta, attribuendola alla necessità e al timore di Antonio; ma poiché Cesare si opponeva e la confutava su ogni punto, cambiò rapidamente tono e cercò di commuoverlo con le preghiere, come una che più di ogni altra cosa si aggrappava alla vita. […] Le disse, quindi, che lasciava a lei la gestione di queste questioni e che in ogni altro modo le avrebbe riservato un trattamento più splendido di quanto potesse aspettarsi. Poi se ne andò, credendo di averla ingannata, ma in realtà era stato ingannato da lei”.

Il passo plutarcheo denota l’ora più disperata della regina d’Egitto e la fredda e calcolatrice mente del futuro primo imperatore di Roma. E, tuttavia nemmeno la fredda astuzia dell’erede di Cesare riuscì a vincere la volontà di Cleopatra: dopo avere sentito da Cornelio Dolabella, compagno d’armi di Ottaviano, dell’intenzione di far sfilare la regina e i suoi figli nel trionfo a Roma, Cleopatra decise di agire e di togliersi la vita. Sulle modalità le fonti sono incerte; Plutarco racconta la storia, rimasta immortale, del veleno dell’aspide (“Vita di Antonio”, 86), mentre Svetonio, in “Vita Divi Augusti”, 17 è molto più criptico: “Desiderava così vivamente riservare Cleopatra al suo trionfo, che fece venire gli psilli a succhiare il veleno dalle sue vene, perché si credeva che fosse morta per il morso di un aspide”.
Svetonio in questo caso è particolarmente prezioso: in primis dice
chiaramente che non c’è certezza sulla questione del morso dell’aspide, ma solo una credenza. Il motivo è semplice: tutti coloro che parteciparono al suicidio di Cleopatra furono trovati senza vita, ergo non è pervenuto alcun testimone della vicenda. In secondo luogo, Svetonio ci racconta in questa fonte dell’esistenza di una curiosa tribù africana, gli Psilli, che i Romani conoscevano per la loro capacità di incantatori di serpenti e, soprattutto, di guarigione dai morsi di questi.
Sia come sia, il cuore di Cleopatra si fermò in quel 12 settembre: l’Egitto, un
tempo potente regno ellenistico, oramai era divenuta la provincia “Aegyptus”, la provincia privata dell’imperatore: retta da un prefetto chiamato “Alexandriae et Aegypty” di ordine equestre, era una provincia nella quale i senatori potevano recarvisi solo su esclusivo permesso imperiale. Il motivo di questa esclusività è semplice: l’Egitto sarebbe stata la provincia granaria di Roma, ovvero il territorio che avrebbe sfamato il cuore dell’impero, il fulcro del potere che l’imperatore deteneva sulla popolazione.

Relatore

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