La questione dell’Eucaristia – la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino consacrati – fu uno dei temi più accesi e divisivi dell’XI secolo. In un’epoca in cui la scolastica muoveva i primi passi e la dialettica diventava lo strumento principe della riflessione teologica, esplose una controversia che vide contrapposti Berengario di Tours, il maestro critico che mise in dubbio la dottrina tradizionale, e Lanfranco di Pavia, futuro arcivescovo di Canterbury, che si fece difensore della fede cattolica. A questo dibattito partecipò anche Guitmondo di Aversa, cardinale e teologo, con un contributo che avrebbe influenzato la riflessione successiva sulla transustanziazione.
Berengario, nato intorno al 1000 e formatosi alla scuola cattedrale di Chartres, sosteneva una posizione innovativa: nell’Eucaristia, affermava, il pane e il vino restano sostanzialmente tali, mentre Cristo è presente in modo simbolico o spirituale. Una tesi che rompeva con l’insegnamento tradizionale dei Padri e con la fede della Chiesa, che vedeva nell’altare il mistero della presenza reale.
Le sue idee, diffuse tra i chierici e discusse nelle scuole, provocarono scandalo e opposizione. Più volte condannato in sinodi (Vercelli 1050, Tours 1055), Berengario ritrattò le sue tesi ma continuò a difenderle, costringendo la Chiesa a un confronto serrato.
Lanfranco, monaco di Bec e poi abate di Caen, si impose come avversario principale di Berengario. Nel “Libellus de corpore et sanguine Domini contra Berengarium” difese la dottrina tradizionale con decisione: dopo la consacrazione, il pane e il vino non restano più nella loro sostanza, ma diventano realmente il Corpo e il Sangue di Cristo.
Lanfranco non usava ancora il termine “transustanziazione” – che verrà formalizzato solo più tardi, nel Concilio Lateranense IV (1215) – ma difendeva con forza la trasformazione reale, opponendosi al riduzionismo simbolico. La sua autorità e la sua chiarezza lo resero “il miglior teologo dell’Occidente” agli occhi dei contemporanei.
Nella disputa intervenne anche Guitmondo, monaco benedettino divenuto poi cardinale e vescovo di Aversa. Nella sua opera “De corporis et sanguinis Jesu Christi veritate in Eucharistia”, egli propose una spiegazione più filosofica, anticipando la distinzione aristotelica tra sostanza e accidenti.
Secondo Guitmondo, dopo la consacrazione:
Questa distinzione, ripresa poi da Pietro Lombardo e perfezionata da san Tommaso d’Aquino, diventerà la base concettuale della dottrina cattolica della transustanziazione.
La controversia eucaristica del secolo XI non fu una disputa astratta, ma un momento decisivo nella chiarificazione della fede. L’opposizione tra Berengario e i suoi avversari obbligò la Chiesa a precisare meglio il mistero dell’altare, elaborando strumenti concettuali che accompagneranno la riflessione teologica per secoli.
Se Berengario rappresenta il rischio del ridurre la fede a pura razionalità, Lanfranco e Guitmondo incarnano lo sforzo di coniugare ragione e mistero, filosofia e rivelazione, gettando le basi della grande scolastica medievale.
Dal fuoco di quella controversia scaturì una chiarezza nuova: nell’Eucaristia, i cristiani non venerano un simbolo, ma incontrano il Cristo vivo e presente, velato sotto i segni sacramentali. È il cuore della fede cattolica, che proprio grazie al dibattito tra Berengario, Lanfranco e Guitmondo, ha trovato un linguaggio più preciso e più forte per esprimere il mistero.
Liliane Tami
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