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Calvino, la predestinazione e la fuga dalla libertà

Quando la fede diventa un meccanismo di sottomissione

Nel suo saggio Fuga dalla libertà (1941), Erich Fromm affronta un paradosso che segna la storia dell’umanità: l’uomo, dopo aver conquistato l’autonomia, invece di custodirla come bene supremo, spesso vi rinuncia, rifugiandosi in nuove forme di servitù. È questo, secondo Fromm, il meccanismo psicologico che spiega il successo dei totalitarismi del Novecento.

La libertà, lungi dall’essere solo conquista, è anche peso e responsabilità. Essa spinge l’individuo a misurarsi con la propria solitudine, con l’insicurezza di un mondo senza certezze assolute. È in questo vuoto che, storicamente, si sono inserite nuove strutture di potere, religiose e politiche, capaci di offrire un senso di appartenenza in cambio della rinuncia all’autonomia personale.

La Riforma e la perdita dell’individualità

Fromm individua un passaggio cruciale nella Riforma protestante, e in particolare nella dottrina di Giovanni Calvino. La teologia calvinista della predestinazione sosteneva che Dio avesse stabilito, prima ancora della nascita, chi sarebbe stato salvato e chi dannato. Nulla poteva modificare questo destino.

Per l’uomo moderno, che stava vivendo il crollo delle certezze medievali, questa idea rappresentava un’ancora. Non più smarrito davanti a un universo privo di punti fermi, egli trovava rifugio in un disegno divino già scritto. Ma questo rifugio aveva un prezzo altissimo: la rinuncia alla libertà.

La libertà che diventa paura

Secondo Fromm, la dottrina calvinista rispondeva a un bisogno psicologico profondo: sfuggire al peso di una libertà che appariva insopportabile. Se tutto è già deciso da Dio, allora l’uomo non è più responsabile della propria salvezza. È un servo, prima di un Dio assoluto e impenetrabile, e poi – nei secoli successivi – delle forze politiche ed economiche che si approprieranno della sua obbedienza.

Fromm interpreta questo meccanismo come una “fuga dalla libertà”: l’essere umano, pur avendo conquistato l’indipendenza, preferisce rifugiarsi in strutture che ne limitano l’autonomia. La predestinazione diventa, così, un paradigma di come la religione possa trasformarsi in strumento di controllo e di sottomissione.

Dalla predestinazione al totalitarismo

L’uomo che si abitua a sentirsi servo davanti a un Dio distante e implacabile, sarà pronto a sottomettersi anche a nuovi padroni terreni. Non è un caso che Fromm, scrivendo negli anni bui della Seconda guerra mondiale, intraveda nella predisposizione alla sottomissione religiosa del protestantesimo il terreno fertile per la nascita dei regimi totalitari.

In entrambi i casi, l’individuo rinuncia alla sua capacità critica e alla sua autonomia, per sentirsi al sicuro in un disegno più grande.

L’analisi di Fromm ci invita a una riflessione attuale: ogni volta che l’uomo abdica alla propria responsabilità, accettando soluzioni preconfezionate che promettono sicurezza assoluta, corre il rischio di perdere la propria libertà interiore. La predestinazione calvinista, così come le ideologie totalitarie, mostrano lo stesso meccanismo psicologico: la paura della solitudine e dell’incertezza spinge a rifugiarsi nella schiavitù.

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