Estero

Oltre gli slogan: riflessioni scomode su Israele, Palestina, l’ONU e gli abusi nascosti del Qatar

Martin Navarrete Badrutt

Al giorno d’oggi tutti cadono in qualche trappola, in qualche frode o illusione, in un mondo in cui la percezione si distorce con tanta facilità davanti alle diverse ottiche imposte dall’osservatore.

L’informazione viaggia più veloce, sì, e sembrerebbe che per qualche motivo il tempo si accorci.

Il tempo e lo spazio, come li immaginarono Einstein e Rosen nella loro teoria di piegare due punti molto distanti per poi attraversarli in una frazione di secondo, è qualcosa che ultimamente sembra manifestarsi nell’immaginazione di ciascuno di noi, giorno dopo giorno, in maniera sempre più ricorrente.

Ma hey, che ne è stato dei processi per arrivare da A a B? Dall’1 al 10? Da 0 a 100 km/h? Cosa ci è successo, come umanità, che abbiamo dimenticato che, per raggiungere la cima di ogni grande traguardo, c’è un sentiero di calvario, sudore, sangue e lacrime nella struttura che precede il risultato?

Leonida riuscì a salvare Sparta, ma al prezzo di giorni di assedio tra le mura delle Termopili. Non c’erano bagni né telefoni cellulari per distrarsi in qualche momento. Non c’erano aspirine né medicine per i raffreddori se ti colpiva un soffio di vento mentre dormivi. Anzi, chissà da dove proveniva il cibo per mantenere rifornito un battaglione di 300 uomini per tanti giorni.

Eppure, con tutto questo contro, riuscì a lasciare la sua impronta e oggi lo si ricorda: alcuni per il suo coraggio, altri per i lungometraggi che condensano giorni, settimane e mesi in un’esperienza di un paio d’ore.

Ora, in pieno XXI secolo, siamo tutti equipaggiati con una tecnologia che ci concede accesso immediato e diretto a qualsiasi tipo di informazione —sia buona, cattiva, vera o falsa—. È richiesta un’altra meccanica, un’altra misura, un’altra analogia. Perché ci siamo stancati delle bugie, ma non sappiamo nemmeno quale sia la verità.

È cambiato il codice e la metodologia; ora tocca a noi imparare a decifrare. Non basta più ascoltare uno o leggere un altro: ora è necessario anche confrontare, mettere in contrasto, evidenziare, trarre le nostre conclusioni e incrociare le fonti con i dati, affinché ciò che esce dalle nostre corde vocali sia indiscutibile.

Solo così eviteremo di passare alla storia come una truppa di ignoranti che reagisce a ogni notizia a seconda della narrativa.
Prendete Israele, per esempio. Chiedete a chiunque abbia vissuto a Tel Aviv com’è la vita lì e sentirete di tutto. Ma la cosa più probabile è che la maggioranza dica che si vive benissimo, come in un’oasi nel deserto: gastronomia e attività, moda e cultura, sport e persino cinema e letteratura di primo livello.

Tecnologia e armi di prim’ordine anche. E da quando è un crimine avere difese, soprattutto quando ti attaccano giorno e notte senza sosta? La cosa più curiosa è che potrei citare più di 20 attentati contro Israele e, tuttavia, nessuno se li ricorda mai.

Al contrario, abbiamo Gaza, dove la gente vuole solo vivere tranquilla ma deve subire invasioni e infiltrazioni quotidiane di gruppi terroristici che si introducono nelle abitazioni dei pacifici abitanti di Gaza, portano via il cibo, le loro case, le loro risorse e, inoltre, se possono usarli come scudi, lo fanno. Tutto per la causa, giusto? Tanto, a chi mai importerà?

Perché oggi sembra più una barzelletta che la vita delle persone valga più come spettacolo mediatico o come prodotto dell’industria cinematografica, che come qualcosa di intrinseco e sacro da proteggere.

Si riflette l’idea che qualcuno sia una brava persona solo perché, da molto lontano, seduto su una poltrona comoda sotto la protezione di qualche paese del primo mondo, possa dire “Free Palestine” senza avere nemmeno il buon senso di andare a Gaza a verificare la vera situazione.

Formarsi un’opinione istruita eviterebbe di contribuire all’agenda di disinformazione di chi vuole solo usare il mondo intero come pedina per la propria convenienza.
Quello che più mi fa male è sentire che questo conflitto, che dura da oltre mezzo secolo, non arriva mai a una soluzione.

E, per qualche strano motivo, il mondo tende a dare la colpa a Israele per il fatto che non ci sia un cessate il fuoco, solo perché è meglio equipaggiato o più avanzato in certi aspetti.

Perdonatemi, ma questo mi sembra come vivere a Stoccolma e dare la colpa al tuo vicino perché, siccome a lui va molto bene professionalmente, a te le cose vanno male per inerzia.

Ha senso? Nessuno.
È come dire: “Povera Palestina, Israele la infastidisce solo perché gli sta antipatica”, quando la realtà è un’altra. E sappiamo bene che, quando ci sono di mezzo i terroristi, anche se hai un recinto pieno di agnelli, si può sempre infiltrare un lupo nel gregge.

Secondo la storia, Leonida cadde alle Termopili perché uno dei suoi uomini lo tradì con Serse, dandogli accesso a un passaggio nascosto dalla retroguardia. Vi ricordate del gobbo nella versione con Gerard Butler?

Ecco, così si sente un israeliano: avere tanti abitanti di Gaza con tanti “gobbi” attaccati alle gambe come sanguisughe sotto steroidi.

E, proprio per questo motivo, qualunque cosa facciano gli israeliani —anche se avvertono i civili di evacuare—, ci sarà sempre un miliziano di Hamas a modificare la strategia per usare un gazano come pedina o carne da cannone.
Ci siamo già messi nei panni dei civili di Gaza. Ma quando nei panni dell’esercito israeliano?

Sapete cosa significa? La paura di non riuscire a distinguere un bambino di 11 anni da un barile di esplosivi indottrinato “per la causa”.

La paranoia di immaginare che, in qualunque momento, potrebbero dover scegliere se togliere la vita a un bambino con un giubbotto pieno di esplosivi o tentare di salvarlo contro il tempo.

Come convincere quel bambino che potremmo essere felici se deponessimo le armi, sapendo che, nello stesso istante, un altro miliziano di Hamas apparirebbe dalle ombre per uccidere entrambi a sangue freddo?

E chi si chiede se quei soldati israeliani non portino anche il trauma di aver perso un familiare in quegli attentati?
O se non soffrano di stress post-traumatico che li porta a reagire in quel modo?

Non hanno forse diritto anche loro a essere considerati esseri umani?
Perché, per il fatto di essere militari, perdono automaticamente il diritto all’errore e si trasformano in robot o semplici macchine di morte?

La storia ci insegna bene che nelle guerre ci sono sempre atrocità da entrambe le parti. E se di guerra vogliamo parlare, facciamolo con giustizia, per entrambi i fronti.

Perché nella vita si balla sempre il tango in due: ci sono sempre due punti di vista, e ognuno racconta una storia diversa. E nessuno dei due lati ha più importanza dell’etica e della morale, che alla fine della giornata sono ciò che deve pesare sulla bilancia.

Da parte mia, è un peccato vedere due culture così meravigliose distruggersi a vicenda per un conflitto che dura da più di 50 anni.

È triste guardarsi indietro e dire: “Ho quasi mezzo secolo di vita e questo ancora non finisce”.

Ma è anche triste dare opinioni da lontano, senza averlo vissuto e senza sforzarsi di distinguere il giusto dallo sbagliato con imparzialità.

Per questo invito chiunque voglia parlare —a cominciare da Hollywood, che ultimamente sembra più dedita a filmarsi facendo sesso per poi ricattare i propri colleghi— a farsi un viaggio a Gaza e a parlare da lì del conflitto.

Ma tu e io sappiamo che la cosa più probabile è che preferiranno farlo da Israele, perché è più comodo e questo è ciò che gli piace.

Vorrei vedere un Javier Bardem vestirsi come agli Emmy e cantare “Free Palestine” da Gaza. O quell’altra bionda ripetere “Fuck ICE and Free Palestine” da Gaza.

Almeno così, se dopo una settimana avessero la fortuna di tornare a Hollywood intatti, scopriremmo se davvero avevano ragione ad alzare la voce dalla comodità del tappeto rosso con caviale e aperitivi, mentre i poveri abitanti di Gaza devono lottare contro Hamas per non farsi portar via il cibo, mentre danno la colpa allo Stato di Israele per tutto ciò che fa Hamas.

E non parliamo nemmeno dell’ONU, l’organizzazione più corrotta di tutta l’umanità, la cui vera finalità è mantenere crisi internazionali come scusa patetica per ottenere finanziamenti eterni e godere di un’infinità di privilegi e lussi che rendono la vita una dolcezza a spese della disgrazia dei più bisognosi.

E lo dico perché, se analizziamo un po’ il suo programma per la nutrizione e l’idratazione della popolazione africana, vedremo che da oltre 40 anni riceve fondi illimitati senza ottenere alcun risultato. E basta guardare a uno youtuber come Mr. Beast, che è arrivato e ha costruito 100 pozzi d’acqua in meno di 2 settimane, per renderci conto dell’orribile situazione in questa pessima scusa di organizzazione delle Nazioni “poco unite”.

Perché, quando il Qatar salì alla ribalta per il Mondiale e pochi videro la vera aberrazione dell’essere umano nei rapporti dei giornalisti che documentavano la schiavitù e l’oppressione nella costruzione di tutti quegli stadi a spese della sofferenza dell’enorme quantità di immigrati che pensavano solo di lavorare per mantenere le loro famiglie in altri paesi… con loro sorpresa, ben pochi sapevano che il Qatar avrebbe finito per togliere i passaporti e rinchiuderli in ghetti, dove andare in bagno per fare il nº 2 significava condividere lo stesso buco con almeno 15 persone, senza ventilazione, senza cibo, solo acqua.
E dove chi sopravviveva andava a lavorare, e chi no, pazienza. In fondo fanno con la gente ciò che vogliono.

E all’ONU, quando si chiedono rapporti su questo, non ha né la minima, né la massima, né la media idea. Quello che sa bene, però, è quanto succulente siano le somme di fondi per programmi senza obiettivi reali.

E, per favore, non credete a me: guardate piuttosto i reportage della stampa indipendente, come il bravo Johnny Harris che —al contrario di Hollywood— ha il coraggio di andare a riportare dove accadono i fatti.
E inoltre, qui sotto vi lascio un link con il suo reportage dal Qatar:

In conclusione, sono molto arrabbiato e più che sicuro di non essere l’unico, perché molte cose non vanno bene nel mondo di oggi.

Ma di una cosa sono certo: se un giorno questo conflitto finirà —e a seconda di come finirà—, avremo o un sollievo globale o una terza guerra mondiale.

Ed è vero che dipende da molte variabili…
ma, qualunque cosa accada, vi prego: siamo più consapevoli delle nostre opinioni.

Al via l’invasione di Gaza City, tank IDF entrano in città: pesanti attacchi con droni ed elicotteri

“Más allá de los eslóganes: reflexiones incómodas sobre Israel, Palestina, la ONU y los abusos ocultos de Qatar”

Hoy en día todo el mundo cae en alguna trampa, en alguna estafa o ilusión, en un mundo donde la percepción se tergiversa con tanta facilidad ante las distintas ópticas impuestas por el observador. La información viaja más rápido, sí, y pareciera que por algún motivo el tiempo se hace más corto.

El tiempo y el espacio, como Einstein y Rosen lo imaginaron alguna vez en su teoría de doblar dos puntos muy distantes para luego atravesarlos en una fracción de segundos, es algo que últimamente parece manifestarse en la imaginación de cada uno de nosotros día a día, de manera cada vez más recurrente.

Pero hey, ¿qué pasó con los procesos para llegar de A a B? ¿Del 1 al 10? ¿De 0 a 100 km/h? ¿Qué nos pasó a la humanidad que olvidamos que, para alcanzar la cima de cada gran logro, hay un sendero de calvario, sudor, sangre y lágrimas en la estructura previa al resultado?

Leónidas logró salvar a Esparta, pero le costó días de asedio entre las paredes de las Termópilas. No había baños ni teléfonos celulares para distraerse en algún momento. No había aspirinas ni medicinas para los resfriados si te agarraba un golpe de viento mientras dormías. Es más, ¿quién sabe de dónde sacaban la comida para mantener abastecido a un batallón de 300 hombres durante tantos días?

Pero, con todo eso en contra, logró marcar su huella y hoy se lo recuerda: algunos por su valentía, otros por los largometrajes que resumen días, semanas y meses en una experiencia de un par de horas.

Ahora, en pleno siglo XXI, estamos todos equipados con tecnología que nos otorga acceso inmediato y directo a cualquier tipo de información —sea buena, mala, cierta o falsa—. Se requiere otra mecánica, otra medida, otra analogía. Pues ya nos cansamos de las mentiras, pero tampoco sabemos cuál es la verdad.

Ha cambiado el código y la metodología; ahora nos toca aprender a descifrar. Ya no basta con escuchar a uno o leer a otro: ahora también hace falta comparar, poner en contraste, evidenciar, sacar nuestras propias conclusiones y cruzar las referencias con datos, para que lo que salga de nuestras cuerdas vocales sea indebatible.

Solo así evitaremos pasar a la historia como una tropa de ignorantes que reacciona ante cada noticia dependiendo de la narrativa.

Tomen a Israel, por ejemplo. Pregúntenle a cualquiera que haya vivido en Tel Aviv qué tal se vive ahí y escucharán de todo. Pero lo más probable es que la mayoría diga que se la pasa muy bien, como en un oasis en el desierto: gastronomía y actividades, moda y cultura, deportes y hasta cine y literatura de primera.

Tecnología y armas de primera también. ¿Y desde cuándo es un crimen tener defensas, sobre todo cuando te atacan día y noche sin cesar? Lo más curioso es que podría citar más de 20 atentados a Israel y, sin embargo, nadie nunca los recuerda.
En contraste, tenemos a Gaza, donde la gente solo quiere vivir tranquila pero debe soportar invasiones e infiltraciones diarias de grupos terroristas que se meten en las moradas de los pacíficos gazaníes, les quitan la comida, sus hogares, sus recursos y, además, si pueden usarlos como escudos, lo hacen. Todo por la causa, ¿cierto? Total, ¿a quién le va a importar?

Porque hoy por hoy parece más un chiste que la vida de la gente valga más como espectáculo mediático o insumo de la industria cinematográfica, que algo intrínseco y sagrado que proteger. Se refleja la idea de que alguien es buena persona solo porque, desde muy lejos, sentado en un sillón cómodo bajo la protección de algún país del primer mundo, pueda decir “Free Palestine” sin siquiera tener la sensatez de ir a Gaza a investigar la verdadera situación.

Formar una opinión educada evitaría contribuir con la agenda de desinformación de quienes solo buscan usar al mundo entero como peón para su conveniencia.

Lo que más me duele es escuchar que este conflicto, que lleva más de medio siglo en disputa, sigue sin llegar a ninguna solución. Y, por algún motivo extraño, el mundo tiende a culpar a Israel de que no exista un cese al fuego, solo porque está mejor equipado o más avanzado en ciertos aspectos.

Perdónenme, pero eso se me hace como vivir en Estocolmo y culpar a tu vecino de que, porque a él le va muy bien profesionalmente, a ti te va mal por inercia. ¿Tiene sentido? Ninguno.

Es como decir: “Pobre Palestina, Israel la molesta solo porque le caen mal”, cuando la realidad es otra. Y nos consta que, cuando hay terroristas de por medio, aunque tengas un corral lleno de corderos, siempre se puede infiltrar algún lobo en la manada.

Según la historia, Leónidas perdió en las Termópilas porque uno de sus hombres lo traicionó con Jerjes, otorgándole un acceso oculto por la retaguardia. ¿Se acuerdan del jorobado en la versión de Gerard Butler?

Bueno, así se siente ser israelí: tener tantos gazaníes con tantos “jorobados” pegados entre sus piernas como sanguijuelas en esteroides.

Y, por ese mismo motivo, hagan lo que hagan los israelíes —aunque adviertan a los civiles que evacúen—, siempre habrá un hamasí modificando la estrategia para usar a un gazaní como peón o carne de cañón.

Ya nos pusimos en los zapatos del pueblo gazaní. Pero, ¿cuándo nos hemos puesto en los zapatos del ejército israelí?
¿Acaso saben lo que se siente? El miedo de no poder distinguir a una criatura de 11 años de un barril de explosivos adoctrinado “para la causa”.

La paranoia de imaginar que, en cualquier momento, podrían tener que elegir entre tomar la vida de un niño con un chaleco lleno de explosivos o intentar salvarlo a contrarreloj.

¿Cómo convencerlo a ese niño de que podríamos ser felices si soltáramos las armas, sabiendo que, en ese mismo instante, otro hamasí aparecería desde las sombras para matar a los dos en sangre fría?

¿Y quién se pregunta si esos soldados israelíes no cargan también con el trauma de haber perdido a algún familiar en esos atentados?

¿O si no sufren estrés postraumático que los lleve a reaccionar de tal manera?
¿Acaso no tienen derecho también a ser considerados seres humanos?

¿Por qué, por ser militares, pierden automáticamente el derecho a equivocarse y se transforman en robots o simples máquinas de matar?

La historia bien nos enseña que en las guerras siempre hay atrocidades de ambos lados. Y, si vamos a hablar de guerra, que sea con justicia para ambos bandos.

Porque en la vida siempre se baila el tango de a dos: siempre hay dos puntos de vista, y cada uno cuenta una historia distinta. Y ninguno de los dos lados tiene más importancia que la ética y la moral, que al final del día son las que deben pesar en la balanza.

Por mi parte, es una pena ver a dos culturas tan maravillosas destruirse mutuamente por un conflicto que lleva más de 50 años.

Es triste mirar atrás y decir: “Tengo casi medio siglo de vida y esto aún no acaba”.
Pero también es triste dar opiniones desde lejos, sin haberlo vivido y sin esforzarse en diferenciar lo correcto de lo incorrecto con imparcialidad.

Por eso invito a todos los que opinan —empezando por Hollywood, que últimamente parece más dedicado a filmarse teniendo sexo para luego extorsionar a sus propios colegas— a tomarse un viajecito a Gaza y hablar desde ahí del conflicto.

Pero tú y yo sabemos que lo más probable es que prefieran hacerlo desde Israel, porque es más cómodo y eso es lo que les gusta.

Quisiera ver a Javier Bardem vestirse como en los Emmy y cantar “Free Palestine” desde Gaza. O a esa otra rubia repetir “Fuck ICE and Free Palestine” desde Gaza.

Al menos así, si después de una semana tuvieran la suerte de regresar a Hollywood intactos, descubriríamos si realmente tenían razón al alzar la voz desde la comodidad de la alfombra roja con caviar y aperitivos, mientras los pobres gazaníes deben luchar contra Hamas para que no les quiten la comida, mientras culpan al Estado de Israel por todo lo que hace Hamas.

Y ni hablemos de la ONU, la organización más corrupta de toda la humanidad, cuya verdadera finalidad es mantener crisis internacionales como excusa patética para adquirir financiamiento eterno y gozar de un sinfín de privilegios y lujos que hacen que la vida sea una dulzura a costas de la desgracia de los más necesitados.

Y lo digo porque, si analizamos un poco su programa para la nutrición e hidratación de la población africana, veremos que van más de 40 años con fondos ilimitados sin obtener ni un solo resultado. Y basta solo ver a un youtuber como Mr. Beast llegar y construir 100 pozos de agua en menos de 2 semanas, para darnos cuenta de la horrible situación en esta mala excusa de organización de las Naciones “poco unidas”.

Porque, cuando Qatar se lanzó al estrellato para el Mundial y pocos vimos la verdadera aberración del ser humano en los informes de periodistas que evidenciaban la esclavitud y opresión a la hora de construir todos esos estadios a costas del sufrimiento de la exuberante cantidad de inmigrantes que pensaban solo ir a trabajar para mantener a sus familias en otros países… para su sorpresa, muy poco sabían que Qatar terminaría quitándoles sus pasaportes y encerrándolos en guetos, donde ir a un baño a hacer el nº 2 era sinónimo de compartir el mismo hueco entre al menos 15 personas, sin ventilación, sin comida, solo agua.

Y donde, el que sobrevivía, se iba a trabajar, y el que no, pues ni modo. Total, hacen con la gente lo que se les canta.
Y a la ONU, cuando se le piden informes sobre esto, no tiene ni la menor, ni la mayor, ni la mediana idea. Lo que sí sabe es lo jugosas que se ven las cantidades de fondos para programas sin objetivos reales.

Y, por favor, no me crean a mí: miren nada más y nada menos que los reportajes de prensa independiente, como el buen Johnny Harris, que —al contrario de Hollywood— sí se anima a ir a reportar donde ocurren los hechos.
Y es más, aquí abajo les dejo un link con su reporte desde Qatar:

En conclusión, estoy muy enojado y más que seguro de que no soy el único, porque muchas cosas no están bien en el mundo hoy en día.

Pero de lo que sí estoy seguro es que, si algún día este conflicto acabara —y dependiendo de cómo acabe—, tendríamos o un alivio global o una tercera guerra mundial.

Y es verdad que depende de muchas variables…
pero, hagamos lo que hagamos, por favor, se los pido: seamos más conscientes con nuestras opiniones.

Relatore

Recent Posts

L’Italia dice NO alla carne sintetica: una vittoria della natura sull’ingegneria del piatto

Con un voto storico, l’Italia ha alzato la voce e ha scelto da che parte…

14 ore ago

Le poesie di Sergej Esenin, il poeta russo trovato impiccato a soli trent’anni. Il nuovo libro curato da Corrado Facchinetti

a cura di Corrado Facchinetti, edizione L’Arca di Noè. Poesie - Sergej A. Esenin -…

15 ore ago

San Nicola, il vescovo che incendiò la storia: tra verità, leggenda e arte

Ci sono santi che attraversano i secoli in silenzio, come orme lievi nella sabbia del…

15 ore ago

Il Pensiero del giorno – di Julian Assange

"Mi è diventato chiaro che praticamente ogni guerra degli ultimi 50 anni è stata il…

15 ore ago

Lady Macbeth, domani alla Scala

Riduzione in un atto per teatro di prosa Personaggi principali Katerina L’vovna Izmajlova – giovane…

19 ore ago

Roberto Calvi e i Frati Neri

Londra, notte del 17 giugno 1982 (Una stanza d’albergo. Le tende chiuse. La città respira…

24 ore ago

This website uses cookies.