Il Parlamento iracheno da quasi un anno ( gennaio 2025) ha approvato una legge che consente il matrimonio delle bambine a partire dai nove anni di età, scatenando indignazione in tutto il mondo. Organizzazioni per i diritti umani, associazioni femminili e agenzie internazionali hanno definito la norma una “legalizzazione dello stupro infantile”, un passo drammatico indietro per la tutela dell’infanzia e della donna.
La nuova legge attribuisce alle autorità religiose il potere di decidere su matrimonio, divorzio e custodia dei figli, cancellando il limite d’età fissato nel 1950 per proteggere i minori. In questo modo, il diritto civile viene subordinato alla legge religiosa, che in alcune interpretazioni consente nozze precocissime, persino in età prepuberale.
Secondo un’indagine delle Nazioni Unite del 2023, il 28% delle ragazze irachene si sposa prima dei 18 anni. Spesso le famiglie più povere vedono nel matrimonio precoce una via d’uscita economica, ma il prezzo pagato da queste bambine è altissimo: abbandono scolastico, isolamento sociale, gravidanze precoci e abusi psicologici e fisici.
Molte di loro perdono la salute, la libertà e ogni possibilità di autodeterminazione.
L’attivista Intisar al-Mayali, della Iraqi Women’s League, ha denunciato con forza gli effetti devastanti di questa decisione:
“Il matrimonio delle bambine in tenera età viola il loro diritto alla vita come bambine e interrompe i meccanismi di protezione per divorzio, affidamento ed eredità delle donne”.
Dietro queste scelte legislative si cela l’influenza di una visione estremamente conservatrice della legge islamica (sharia), che in alcune interpretazioni considera le bambine “mature” al momento della pubertà. Tali interpretazioni, pur non condivise da tutto il mondo musulmano, vengono usate per giustificare un sistema patriarcale e oppressivo, che riduce le donne a oggetti di scambio e di controllo.
In molti Paesi islamici moderati – come Marocco, Tunisia e Indonesia – si sono già compiuti importanti passi verso la proibizione assoluta dei matrimoni infantili, dimostrando che fede e diritti umani possono coesistere.
In Iraq, invece, la nuova legge rischia di annientare decenni di battaglie per la libertà femminile. Ogni bambina costretta a sposarsi a nove anni perde non solo la sua infanzia, ma anche la speranza di una vita libera.
Difendere queste bambine significa difendere l’umanità stessa, contro ogni forma di fanatismo e contro ogni interpretazione della religione che giustifichi la violenza o la sottomissione.
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