Li sento là fuori.
I topi, i servi del silenzio, i preti che pregano per un’anima che non avranno.
Vogliono il mio pentimento, come se bastasse un sospiro per lavare via il sangue che credono di aver visto scorrere sulle mie mani.Ma io non mi pento.
Non mi pento di aver governato dove gli uomini comandavano, di aver tenuto le chiavi, le terre e il timore.
Non mi pento di aver chiesto obbedienza in un mondo che pretendeva la mia docilità.
Mi chiamano mostro, ma quanti uomini hanno torturato in nome della fede o della guerra senza che nessuno li murasse vivi?
Io ho fatto lo stesso — con più grazia, con più ordine.Dicono che cercassi la giovinezza nel sangue.
Che follia puerile. Io cercavo potere, e il potere, sì, è rosso.
È la vita che stilla, la paura che obbedisce, il silenzio che resta quando tutti hanno capito a chi appartiene il respiro.Ho visto il terrore riflettersi negli occhi di chi mi serviva, e lì ho trovato me stessa: pura, eterna, invincibile.
Ora mi hanno murata, credono di seppellire una donna. Ma non si seppellisce ciò che è già leggenda.
Le pietre marciranno prima del mio nome.
Le madri racconteranno ai figli di non sfidare la Contessa, e così — nella loro paura — io vivrò ancora.No, non mi pento.
Ho avuto ciò che volevo: potere, silenzio, e un nome che sopravvive al tempo.
Il resto… è polvere e superstizione.E voi, che giudicate da fuori le mie mura, siete già miei.
Perché ancora, dopo secoli, pronunciate il mio nome.
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