Cultura

San Carlo Borromeo: il pastore che non fuggì

Era il 2 ottobre 1538 quando, nella fortezza di Arona sul Lago Maggiore, nacque Carlo Borromeo, figlio di una delle più nobili famiglie lombarde. Fin da bambino mostrò un carattere serio e riflessivo: mentre altri coetanei amavano i giochi e i piaceri della corte, lui preferiva lo studio e la preghiera. Il padre Gilberto e la madre Margherita de’ Medici non immaginavano certo che quel figlio silenzioso sarebbe diventato uno dei più grandi riformatori della Chiesa.

Carlo studiò diritto a Pavia, dove si distinse per la sua intelligenza e per la disciplina rigorosa. Era un giovane di mondo, ma sceglieva di vivere con semplicità: ciò che gli interessava non era il potere, ma il dovere.

Quando nel 1560 lo zio materno divenne papa con il nome di Pio IV, il giovane Borromeo fu chiamato a Roma. Aveva appena ventidue anni, e in poco tempo divenne uno dei collaboratori più fidati del pontefice. Fu nominato cardinale e incaricato di amministrare la grande arcidiocesi di Milano, anche se non era ancora sacerdote.

In quegli anni la Chiesa attraversava una crisi profonda. La Riforma protestante aveva scosso l’Europa, e all’interno del cattolicesimo c’era urgente bisogno di rinnovamento. Carlo Borromeo lavorò instancabilmente per portare avanti le decisioni del Concilio di Trento, cercando di restituire al clero disciplina, formazione e spirito evangelico.

Quando finalmente, nel 1564, fu ordinato sacerdote e poi vescovo, lasciò Roma per recarsi a Milano. Entrò nella città con semplicità, senza pompa né fasto. Da quel giorno si dedicò completamente al suo popolo: visitò personalmente tutte le parrocchie della diocesi, persino quelle più lontane, tra le montagne e le valli lombarde.
Fondò seminari per la formazione dei sacerdoti, istituì scuole di dottrina cristiana per i bambini, promosse missioni popolari e si impegnò a riportare la fede tra la gente semplice.

Ma fu durante la terribile peste del 1576 che il suo coraggio e la sua santità si rivelarono pienamente. Quando le autorità civili e molti ricchi fuggirono da Milano per salvarsi, Carlo rimase. Non solo restò: camminava per le strade deserte, portando conforto ai malati, celebrando Messe all’aperto, distribuendo aiuti, e chiedendo penitenza e preghiera.
Spesso veniva visto scalzo, con una corda al collo, camminare tra le vittime della peste portando il Santissimo Sacramento. Non aveva paura di morire; temeva solo che i suoi fedeli perdessero la fede.

Quando la peste finì, Milano era una città ferita ma rinata spiritualmente. E gran parte di quel rinnovamento si doveva al suo vescovo.

Carlo Borromeo, ormai stanco e provato da anni di lavoro, penitenze e preghiere, si spense nella notte del 3 novembre 1584, a soli quarantasei anni. Morì come aveva vissuto: povero, umile e sereno.
Il suo corpo fu deposto nel Duomo di Milano, dove ancora oggi riposa, e la sua figura rimane un esempio luminoso di pastore buono e fedele, che non fuggì davanti al pericolo e che mise sempre i suoi fedeli prima di sé.

Nel 1610, papa Paolo V lo proclamò santo, riconoscendo in lui un modello di vescovo e riformatore, un uomo capace di unire intelligenza, fermezza e infinita carità.

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