The Horror from the Hills – Frank Belknap Long, 1931)
C’era un tempo, prima che l’uomo fosse uomo, in cui sulle montagne del Tibet camminavano dei. Non dei di luce, ma divinità contorte, che si nutrivano non di fede, ma di sangue. Tra queste, una figura sovrana: Chaugnar Faugn, il dio-elefante. La sua testa, un incubo di carne e zanne, grondava la linfa vitale delle vittime. Nessun tempio poteva contenerlo, nessuna preghiera placarlo. Solo il gelo eterno e il sonno delle ere lo avevano imprigionato.
Millenni più tardi, un esploratore occidentale, il dottor Clark Ulman, penetrò in una regione delle colline himalayane dove nessuno era tornato vivo. Lì, fra mummie ibernate e idoli deformi, trovò una statua di pietra: un essere seduto, con una proboscide contorta e un volto che sembrava urlare nel silenzio. L’uomo, cieco alla follia che gli stava davanti, la portò con sé a New York, pensando fosse un reperto archeologico senza prezzo.
Ma la notte successiva all’arrivo della statua, cominciarono i sogni.
Sogni di zanne rosse e cieli divorati, di un cuore che pulsa dentro la pietra, come se l’idolo respirasse. Poi arrivarono i delitti: uomini trovati svuotati di sangue, con i corpi raggrinziti come foglie secche, e un’ombra che si aggirava nei corridoi del museo.
Gli studiosi, terrorizzati, cercarono spiegazioni razionali, ma uno fra loro — Roger Littlefield, esperto di culti preumani — riconobbe il simbolo inciso sul piedistallo: il sigillo di Chaugnar Faugn, il Signore delle Bocche Insonni, l’Assorbente.
Quando l’orrore si risvegliò del tutto, la città conobbe la vera fame di un dio antico.
Il suo corpo di pietra si fece carne. Le zanne gocciolavano un fluido che bruciava come acido, e la sua proboscide si attaccava alle vittime, risucchiando la vita stessa. Nessun proiettile poteva ferirlo, nessun esorcismo respingerlo.
Solo un potere più antico dell’universo visibile riuscì infine a ricacciarlo da dove era venuto: una macchina mistica, costruita da uno scienziato che aveva sognato mondi oltre la materia, capace di aprire un varco nel tempo e nello spazio. Attraverso quella fessura, Chaugnar Faugn fu trascinato fuori dal nostro continuum, dissolto in un urlo che nessun orecchio umano dovrebbe udire.
Ma gli ultimi paragrafi del racconto insinuano un dubbio gelido:
che non fosse distrutto, ma semplicemente traslato — forse su un altro mondo, o in un’epoca futura, in attesa di risvegliarsi di nuovo.
E in certi musei, dicono, se passi di notte davanti alle collezioni orientali, puoi sentire il respiro di pietra…
un soffio lento, profondo, come il cuore dormiente di Chaugnar Faugn.
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