Hanukkah è la festa delle luci, una delle ricorrenze più care all’ebraismo. Ricorda la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme nel II secolo a.C. e il miracolo dell’olio che, pur bastando per un solo giorno, arse per otto. È una celebrazione domestica e comunitaria insieme: candele accese al calare della sera, canti, giochi per i bambini, dolci condivisi. Una festa di memoria e di speranza, che ogni anno riafferma il diritto di un popolo a esistere senza paura.
Proprio questo senso profondo è stato brutalmente profanato a Bondi Beach, nella città australiana di Sydney, dove una festa pubblica – “Chanukah by the Sea” – si è trasformata in una scena di terrore. Nel tardo pomeriggio di ieri, due uomini, padre e figlio di 50 e 24 anni, hanno aperto il fuoco contro la folla riunita ad Archer Park, una spianata verde a ridosso dell’oceano. Circa mille persone, famiglie con bambini, anziani, fedeli, si erano date appuntamento per celebrare insieme la festività.
Secondo quanto ricostruito finora, gli assalitori hanno sparato almeno cinquanta colpi di fucile dalla sopraelevata pedonale che corre lungo Campbell Parade, cogliendo la folla alle spalle. Il panico è esploso in pochi istanti. La prima chiamata ai servizi di emergenza è arrivata alle 18.47. Il bilancio è drammatico: tra le vittime ci sono un rabbino e una bambina; decine i feriti, due dei quali poliziotti in gravi condizioni. Uno degli attentatori è stato ucciso dalla polizia durante l’intervento, l’altro è ricoverato in condizioni critiche.
Le autorità australiane parlano apertamente di atto terroristico, progettato per colpire deliberatamente la comunità ebraica. Secondo i media locali, uno dei due uomini era già noto ai servizi di sicurezza e vi sarebbero collegamenti con l’Isis. In mezzo alla ferocia, un gesto di coraggio ha evitato un numero ancora maggiore di morti: un fruttivendolo musulmano è riuscito a disarmare uno dei killer. Il video della sua azione, diventato virale, mostra come l’umanità possa ancora opporsi all’odio, anche nei momenti più bui.
L’attacco ha avuto immediate ripercussioni politiche e diplomatiche. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato l’Australia di aver “gettato benzina sul fuoco dell’antisemitismo” con il recente riconoscimento dello Stato di Palestina. Le autorità australiane hanno ribadito l’impegno a contrastare ogni forma di estremismo e a proteggere le minoranze religiose.
Colpire Hanukkah significa colpire una festa che parla di luce contro le tenebre, di fedeltà contro l’oppressione. Farlo in uno spazio pubblico, su una spiaggia simbolo di libertà e convivialità, amplifica l’orrore. Ma la luce di Hanukkah – e il gesto di chi ha rischiato la vita per salvare quella degli altri – ricordano che il terrore non ha l’ultima parola. Sta alle società democratiche, oggi più che mai, difendere la vita, la convivenza e il diritto di ogni comunità a celebrare le proprie feste senza paura.
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