VIETNAM - JANUARY 02: A portrait of HO CHI MINH, the President of the Democratic Republic of North Vietnam, in 1962. (Photo by Keystone-France/Gamma-Keystone via Getty Images)
Nacque in un piccolo villaggio del Vietnam centrale, fra risaie umide e montagne azzurrine che si perdevano nella foschia del mattino. Si chiamava Nguyễn Sinh Cung, e nessuno allora avrebbe immaginato che quel bambino dagli occhi quieti e curiosi sarebbe diventato il padre di una nazione. Suo padre era un insegnante confuciano, severo e orgoglioso, e gli insegnò presto che la dignità di un popolo vale più della vita stessa.
Ma il giovane Nguyễn cresceva in un paese piegato dal giogo coloniale. Le strade, le scuole, perfino i campi appartenevano ai francesi, e il popolo vietnamita, pur laborioso e fiero, doveva chinare il capo. A ventun anni, spinto da un desiderio più forte della paura, lasciò tutto: famiglia, patria, nome. Si imbarcò su una nave diretta in Occidente, come cuoco e mozzo, alla ricerca di un segreto che avrebbe cambiato il destino del suo popolo — come rendere un paese schiavo nuovamente libero.
Per anni visse come un fantasma del secolo: a Londra puliva piatti nelle cucine degli alberghi, a Parigi distribuiva volantini, a Mosca imparava la dottrina dei rivoluzionari. Ovunque andasse, portava con sé un sogno: quello di un Vietnam indipendente. Fu a Parigi che adottò il nome che lo avrebbe consacrato alla storia — Ho Chi Minh, “colui che porta la luce”. Era un nome scelto non per vanità, ma per missione.
Quando nel 1941 tornò finalmente nella giungla del suo paese, il suo passo era lento, ma il suo sguardo ardeva. Fondò il Viet Minh, un movimento di contadini, studenti, monaci e soldati decisi a liberare la patria. Nascosto fra le montagne del nord, scriveva proclami su fogli umidi e ascoltava le voci del popolo, che cominciavano a chiamarlo affettuosamente “Bác Hồ”, lo “Zio Ho”.
Nel settembre del 1945, dopo la caduta dei giapponesi, salì su un podio improvvisato nella Piazza Ba Dinh di Hanoi e, con voce ferma, proclamò la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam. Sotto il sole cocente, migliaia di persone ascoltarono commosse un discorso che mescolava le parole della Costituzione americana e lo spirito di Confucio. Per un momento, il sogno della libertà sembrò realtà.
Poi vennero gli anni duri della guerra. Prima contro i francesi, poi contro gli americani. Ma Ho Chi Minh, pur fragile e malato, non cedette mai. Rifiutò i palazzi e le ricchezze del potere, preferendo vivere in una semplice casa su palafitte, tra alberi di mango e stagni di loto, accanto al palazzo presidenziale. Lì riceveva ambasciatori, poeti, soldati e bambini, con lo stesso sorriso mite. Morì il 2 settembre 1969, il giorno stesso in cui, ventiquattro anni prima, aveva proclamato l’indipendenza. Non vide la fine della guerra, ma il suo nome rimase inciso nel cuore del Vietnam come una fiamma che non si spegne.
Quando la guerra finì e il paese si riunificò, il popolo volle costruire un luogo per lui, un tempio di pietra e silenzio. Nacque così il Mausoleo di Ho Chi Minh, proprio nella piazza dove egli aveva parlato per la prima volta da uomo libero.
L’edificio si alza imponente, in granito grigio e rosso, come una montagna scolpita dall’uomo. I pilastri massicci sorreggono un portico solenne, e sopra, incise nella pietra, brillano le parole: “Chủ tịch Hồ Chí Minh” — “Presidente Ho Chi Minh”. All’interno, in una sala immersa in una luce lattiginosa, il corpo dello Zio Ho riposa in una teca di cristallo, immobile e sereno. Intorno, soldati in uniforme bianca montano la guardia, con passi lenti e perfetti, come in un rito antico.
Ogni mattina, lunghe file di persone si snodano in silenzio davanti al mausoleo. Contadini, studenti, veterani e bambini portano fiori di loto, s’inchinano e passano oltre, con gli occhi lucidi. Nessuno parla. Si sente solo il fruscio dei passi, il respiro sommesso della folla e, talvolta, il canto lontano di una campana.
Fuori, la Piazza Ba Dinh si apre come un mare di pietra e verde. Nei giardini vicini si trova la piccola casa su palafitte dove Ho Chi Minh viveva, semplice e luminosa come la sua vita. Tutto intorno, gli alberi ondeggiano al vento, come se anche la natura si inchinasse a quell’uomo minuto che aveva sognato una nazione unita e libera.
Il mausoleo, oggi, non è soltanto un monumento. È un cuore che pulsa nella memoria del Vietnam: un luogo dove il tempo si ferma, dove il passato parla ancora, e dove ogni visitatore può sentire, anche solo per un istante, la voce calma di Ho Chi Minh sussurrare:
“Niente è più prezioso della libertà.”
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