Cultura

La regina Elena venuta dal Montenegro

Nacque tra le montagne del Montenegro, a Cettigne, in un gennaio di neve e vento del 1873. Era Jelena Petrović-Njegoš, figlia del principe Nicola, sovrano di un piccolo regno arroccato tra le rocce dell’Adriatico. Il suo mondo era fatto di cime grigie, monasteri ortodossi, leggende di eroi che avevano resistito all’Impero ottomano per secoli. Il Montenegro era povero, ma fiero: ogni pietra portava l’eco di una libertà conquistata con fatica.

Elena crebbe in una corte modesta, dove l’orgoglio dinastico si mescolava al profumo della resina e al suono delle campane. Il padre, Nicola I, poeta e guerriero, sognava di dare al paese una dignità europea; la madre, Milena, donna di saggezza pratica, insegnò alle figlie la forza e la discrezione.

Mandata a studiare in Russia, Elena conobbe un mondo diverso: saloni dorati, musica, lingue, arte. Ma anche lì, tra i cristalli e i velluti, portava nel cuore la sua terra ruvida e sincera. Si dice che i suoi occhi avessero il colore del lago di Scutari e che, dietro il sorriso mite, si celasse la fierezza di un popolo intero.

Fu a Venezia, durante una festa sul Canal Grande, che il destino la fece incontrare con Vittorio Emanuele di Savoia. Lui, erede al trono d’Italia, taciturno e metodico; lei, alta, luminosa, con un portamento da regina di leggende slave. Si guardarono e, come accade nei racconti antichi, il loro incontro divenne alleanza tra due mondi: il piccolo Montenegro e la grande Italia.

Nel 1896 si sposarono a Roma. Lei si convertì al cattolicesimo, lasciando la fede ortodossa della sua infanzia. Non fu una decisione leggera: fu il suo primo grande sacrificio, un atto politico ma anche personale, che la separò simbolicamente dalle montagne della sua giovinezza. Tuttavia, portò con sé il senso del dovere e della pietà che l’avrebbero resa una delle sovrane più amate d’Europa.

Quando Vittorio Emanuele divenne re, nel 1900, Elena divenne regina d’Italia. Ma non amava il fasto delle corti; preferiva le visite negli ospedali, le opere di carità silenziosa, i gesti concreti. Durante il terremoto di Messina del 1908, scese tra le rovine e le macerie, assistendo i feriti e soccorrendo i bambini. Il popolo vide in lei non un simbolo lontano, ma una madre che condivideva il dolore.

Durante le guerre mondiali, la regina Elena divenne l’anima silenziosa della monarchia: austera, composta, mai superba. Visitava ospedali, orfanotrofi, campi di prigionia. Nel cuore di Roma, a Villa Savoia, coltivava un piccolo giardino dove crescevano fiori del Montenegro, come un frammento della sua patria perduta.

Dopo il 1946, quando la monarchia fu abolita e la famiglia reale partì in esilio, Elena non protestò. Aveva già conosciuto la fragilità del potere. In Egitto e poi in Francia visse con semplicità, come una donna anziana che aveva attraversato la storia d’Europa. Morì a Montpellier nel 1952, lontana dalle montagne dove era nata e dalle colline dove aveva regnato.

Eppure, di lei restò un’immagine viva: quella di una donna che aveva portato con sé, nel cuore della modernità, l’antica nobiltà dei popoli balcanici. Regina per destino, ma figlia delle montagne per sempre.

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