Cultura

Recensione al saggio di Dario Chioli “La Cinquantesima Porta. Storia ed esoterismo del Giubileo”

Recensione al saggio di Dario Chioli “La Cinquantesima Porta. Storia ed esoterismo del Giubileo”, Lulu.com- Libri di SuperZeko 2024, 80 pagine 12,84 euro

L’approssimarsi della fine del Giubileo ordinario che stiamo vivendo (indetto il 9 maggio 2024 – festa dell’Ascensione di Nostro Signore – da Papa Francesco con la bolla Spes non confundit, ufficialmente iniziato il 24 dicembre 2024 e che verrà chiuso, dal regnante Pontefice Leone XIV, il 6 gennaio 2026) chiama naturalmente a sé la recensione di questo libretto, piccolo e agile nella forma, profondo e talvolta complesso nei contenuti.

L’autore, Dario Chioli, con all’attivo innumerevoli prove in campo letterario – sia in prosa che in versi – e saggistico, libero ricercatore torinese, questo saggio lo aveva composto in occasione della celebrazione di un altro Giubileo ordinario, quello immediatamente precedente a questo: il Grande Giubileo del 2000, indetto da San Giovanni Paolo II, ma, afferma in quarta di copertina, sviluppando poi il discorso a pagina 7, all’interno dell’Introduzione intitolata “Una nota venticinque anni dopo”, “dato che l’editore di allora cambiò idea, rimase inedito”. Fortunatamente per il sottoscritto che ha quindi potuto gustarselo e per, mi auguro, quei tanti o pochi altri che vorranno farlo, magari anche invogliati da questa mia recensione, in occasione di quest’altro Giubileo ordinario l’Autore ha deciso di rimettere mano allo scritto per finalmente proporlo ad un pubblico più ampio (per quanto, fin dal tempo della sua prima stesura, fosse disponibile sul suo sito internet, che è www.superzeko.net, autentico scrigno di saperi vari, cui consiglio vivamente di dare un’occhiata).

Per ovvie ragioni – le quali sono il non voler annoiare eccessivamente chi andrà a leggermi e anche la consapevolezza della mancanza di talune competenze da parte mia – non si procederà, tra queste righe, ad un’analisi puntuale dei capitoli e dei paragrafi di cui il testo si compone, bensì ad una serie di pensieri sparsi del sottoscritto (mi pare di darmi troppe arie a definirli ragionamenti), come si usa dire a spizzichi e bocconi.

Valore aggiunto del testo è, a mio avviso, l’indulgere così tanto su quelli che si possono definire gli “antecessori ebraici” del Giubileo cattolico, andando ben oltre il riferimento all’origine onomastica rinvenibile nello yovél (o yobél), particolare tipologia di shofar – corno di ariete o montone – dal suono squillante, il quale segnava normalmente l’inizio della festività dello Yom Kippur (Giorno dell’Espiazione, concetto, tra i molti, strettamente collegato a quello giubilare) ma anche quello di quell’ “anno in più” (il cinquantesimo) da viversi “ogni sette settimane di anni” (leggi ogni 49 anni) di cui parlano specialmente Levitico e Isaia, quest’ultimo poi ripreso nel Vangelo secondo Luca, ove si trova il riferimento alla proclamazione de “l’anno di grazia del Signore”. In primis chiarendo la netta differenza sussistente tra giubileo ed anno sabbatico, momenti di remissione, condono degli eventuali debiti contratti e riposo per certi aspetti anche similari, ma nettamente divergenti in altri. L’ultimo capitolo del libro, poi, “L’eterno giubileo del Santo: commentario a Levitico 25, 8-24”, è letteralmente un commento approfondito, sentito e poetico ai versetti indicati del capitolo venticinquesimo del terzo testo dei canoni ebraico e cristiano, nel quale Chioli, mettendo a frutto anche le sue abilità di traduttore, “insoddisfatto”, come confessa alla nota numero 2 di pagina 57, delle varie traduzioni nelle quali si è imbattuto, “troppo poco fedeli all’originale” per gli scopi che lui s’era prefissati nello stendere questo scritto (che, ci tengo a sottolinearlo, per quanto l’Autore stesso lo faccia, o implicitamente o esplicitamente, diverse volte tra le pagine del libro, non è una “storia del Giubileo”), ritraduce, il più fedelmente all’originale possibile – tenendo in principale considerazione la differenza della struttura sintattica e periodica tra la lingua di partenza, l’ebraico biblico, e quella d’arrivo, l’italiano lingua neolatina – i passi che va poi a commentare, sviscerandoli nel profondo e restituendoli ad una unità che, ad una lettura non commentata, in molti non avrebbero notato, il sottoscritto per primo!

Tornando ora “a casa”, cioè allo sviluppo della considerazione che l’Autore dà del Giubileo sul tipo di quello che stiamo attualmente vivendo (naturalmente al netto di alcuni mutamenti palesi, per citare quello più evidente: la distanza temporale tra l’indizione dell’uno e del successivo, ove il secolo iniziale si è ridotto di tre quarti), sono una manna dal cielo le citazioni che fornisce da opere varie di autori vissuti in diverse epoche (e certo non può mancare quella di Dante, Inferno XVIII, 28-33) che hanno trattato, ciascuno alla propria maniera, in senso sia linguistico che di coinvolgimento, dell’istituto giubilare. Importante anche l’evidenza che Dario Chioli ha voluto riservare alle indulgenze, questione legata a filo più che doppio a quella giubilare, ma cosa significano esse di preciso? Ebbene, il nostro Autore sviscera anche questo arcano – non mancando neppure, pur dichiaratamente cattolico, di affermare di comprendere, per quanto concerne le cadute più palesi nelle sacche del mercimonio e dell’economicismo da parte di Santa Romana Chiesa, di “interiormente rabbrividire e comprendere le ragioni dello scisma di Lutero” –  in modo puntuale ed efficace, preciso all’osso ma senza mai cadere nella pedanteria o, peggio, nello sterile sfoggio di sapienza (pregi tutti che ho riscontrato anche nelle altre opere di Chioli che ho avuto modo di approfondire – per la verità ancora troppo poche, mi tocca ammetterlo), elencandoci per filo e per segno “come tale questione delle indulgenze è stata trattata dal magistero cattolico” pre e post- Concilio Vaticano II, fornendo di essa specifiche inerenti la definizione, le specie (sotto gli aspetti del soggetto oppure degli effetti, del modo o della durata), in senso generico ed in quello più direttamente riguardante il Giubileo, del quale pure viene data una definizione alla luce del Magistero, vengono indicate le specie (se ordinario o straordinario, come, ad esempio, quello del 2016 “della Misericordia”, indetto sempre da Francesco, e quello che si celebrerà nel 2033, per i due millenni dalla Redenzione del mondo) e le opere necessarie per lucrare (evidenzio il termine non a caso, ma lascio al lettore il piacere della scoperta direttamente fra le pagine vergate da Dario Chioli) al meglio l’indulgenza.

Prima di ringraziarvi per la pazienza che avete dimostrato nel sopportarmi fino a qui, non può essere omessa una menzione ad un paragrafo breve ma la cui motivazione dell’inserimento si riscontra già nel titolo generale dell’opera; alludo a “Il giubileo nell’esoterismo”, a sua volta suddiviso in un sottoparagrafo dedicato alla Qabbalà e uno alla simbologia cristiana (all’interno di quest’ultimo ci viene presentato un interessante rapporto intercorrente tra il numero che maggiormente si ricollega al Giubileo, il 50, indicato, nell’alfabeto ebraico ma anche in quello arabo – le cui lettere hanno tutte valore anche numerico, oltre che fonetico, come ci insegna la gematria – da nûn, che significa anche “pesce”, con il relativo termine greco ichthys, acronimo di Iesous Christòs Theou Y(U)iòs Sotér, Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, la qual cosa fa sorgere facile anche il riferimento al veterotestamentario Giona, inghiottito dalla balena e risputato dopo tre giorni nel ventre di questa, quale prefigurazione della morte e resurrezione di Cristo). Ed è proprio qui che viene fornita una definizione del titolo del saggio, quando l’Autore, alludendo, sulla scorta dell’opera di insigni cabalisti come lo spagnolo Yosef Giqatilla (1248-1305) e il “nostro” Menachem Recanati (1250-1310), all’identificazione tra il mistero del giubileo e binà, terza delle dieci sephirot dell’Albero della Vita, indicante l’intelligenza, afferma che essa abbia cinquanta porte consecutive, definendo, in conclusione del primo sottoparagrafo, l’ultima di esse come “il sommo giubileo, apoteosi dell’intelletto, fonte del tempo e altresì uscita da esso”.

Insomma, pur con numerosi strappi, deviazioni, anche reciproci disconoscimenti, la storia non parte certo dall’indizione del primo Giubileo da parte di Bonifacio VIII nel 1300, e neppure dalla Perdonanza Celestiniana del 1294 o, ancora, dal Pellegrinaggio (o Indulgenza) dei Cento Anni promosso da Papa Innocenzo III il 1°gennaio del 1200, bensì da un punto, compreso nell’immensità e onnipotenza di “Colui che tutto puote”, difficilmente raggiungibile, però, coll’ausilio delle sole umana intelligenza e razionalità.

                                                                                                                       Alberto De Marchi

Relatore

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