Il canto spezzato di David Rizzio

La pioggia cadeva fitta su Edimburgo, battendo contro le finestre del palazzo di Holyrood come dita impazienti che chiedessero d’entrare. Nelle sale, le fiaccole tremolavano, proiettando ombre lunghe sui muri di pietra.
In mezzo a quel silenzio sospeso, una melodia dolce, quasi malinconica, si levava da una stanza: David Rizzio stava suonando il liuto per la regina.

Era arrivato anni prima, un forestiero dal Piemonte, portando con sé poco più di una valigia e una voce che sapeva toccare l’anima. Alla corte scozzese, tra nobili rozzi e guerrieri diffidenti, la sua figura minuta e i modi gentili sembravano appartenere a un altro mondo. Ma Maria Stuarda, giovane e colta, aveva riconosciuto in lui una mente acuta e un cuore fedele.

«Davide,» gli aveva detto una sera, «voi comprendete la mia lingua meglio di molti dei miei lord. Forse perché ascoltate davvero.»
E da allora Rizzio non fu più solo il musico, ma il suo segretario, il suo confidente, quasi la sua ombra.

Quell’intimità, però, divenne veleno.
I sussurri percorrevano i corridoi come spifferi di vento gelido: “La regina si fida troppo di lui…”
“Un italiano! Un cattolico! Un uomo di bassa nascita!”

E il più tormentato di tutti era Lord Darnley, il marito della regina, bello come un principe ma vuoto come un calice rovesciato. La gelosia gli bruciava dentro, alimentata dai nobili che desideravano liberarsi di quello straniero troppo vicino al trono.

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9 marzo 1566.
La notte dell’inganno.

Nella camera della regina si respirava un’apparente calma. Maria era seduta a cena con alcune dame e con Rizzio. Ridevano piano, mentre fuori la tempesta imperversava.
Poi la porta si spalancò.
Darnley apparve, con il volto teso e pallido, seguito da una dozzina di uomini armati. Le torce ardevano come lingue infernali dietro di loro.

«Mio signore… che significa tutto ciò?» domandò Maria, alzandosi di scatto.

Darnley non rispose. Fece solo un cenno. Gli uomini avanzarono. Rizzio indietreggiò, cercando rifugio dietro la regina.
«Maestà!» gridò, la voce rotta.
«Per l’amor di Dio, fermateli!»

Uno dei congiurati afferrò il suo braccio. Maria lo trattenne, furiosa, gridando: «Lasciatelo! È sotto la mia protezione!»
Ma fu inutile.
Lo strapparono da lei come un agnello dalle braccia del pastore.

Nella stanza accanto, il suono della colluttazione esplose in grida, passi, metallo. Poi colpi. Uno, due, dieci…
Cinquanta colpi di pugnale.
Quando tutto tacque, il corpo di David Rizzio giaceva riverso sul pavimento, il volto ancora rivolto verso la stanza dove la regina piangeva.

Il sangue scorreva sotto la porta, lento e oscuro, disegnando un filo rosso che sembrava volerle ricordare per sempre quell’orrore.

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Nei giorni che seguirono, Maria giurò vendetta.
Darnley sarebbe morto pochi mesi dopo, in un’esplosione misteriosa che distrusse la casa in cui dormiva.
Eppure, nessuna morte cancellò mai l’immagine di quella notte, né il suono della voce di Rizzio, spezzato troppo presto.

Qualcuno, ancora oggi, giura di sentire, nelle sere di pioggia a Holyrood, un liuto che suona da una stanza vuota.

Una melodia dolce e lontana, come un ultimo canto d’amore — o un rimprovero che il tempo non ha potuto zittire.