Lo zucchero non è un alimento neutro. È una sostanza che, se consumata in modo cronico e massiccio, altera profondamente il metabolismo umano e contribuisce a una lunga catena di malattie che oggi devastano le società occidentali. Chiamarlo semplicemente “piacere” o “energia rapida” è una pericolosa semplificazione: lo zucchero, così come viene introdotto nell’alimentazione moderna, agisce sempre più come un veleno lento, socialmente accettato e industrialmente promosso.
Il legame tra zucchero e diabete di tipo 2 è ormai fuori discussione. L’eccesso di zuccheri raffinati sovraccarica il pancreas, induce insulino-resistenza, favorisce l’obesità viscerale e apre la strada a patologie cardiovascolari, infiammatorie e ormonali. Non si tratta di casi isolati, ma di un fenomeno di massa: generazioni intere crescono immerse in bevande zuccherate, snack ultraprocessati e alimenti che nulla hanno di nutriente, pur essendo caloricamente devastanti.
Negli ultimi anni, anche la ricerca neuroscientifica ha acceso un faro inquietante su un’altra patologia simbolo della nostra epoca: l’Alzheimer. Sempre più studi parlano di un forte legame tra insulino-resistenza cerebrale, infiammazione cronica e degenerazione neuronale. Non a caso, in ambito scientifico si è diffusa l’espressione “diabete di tipo 3” per descrivere una forma di compromissione cerebrale legata al metabolismo del glucosio. È vero: l’Alzheimer non ha una sola causa, e sarebbe intellettualmente scorretto ridurlo a un unico fattore. Ma è altrettanto vero che l’esplosione di questa malattia coincide storicamente con l’esplosione del consumo di zuccheri raffinati. Prima, semplicemente, non era un’epidemia.
Il paradosso è che mentre l’industria alimentare inonda il mercato di zuccheri nascosti — travestiti da “salutistici”, “light”, “per bambini” — l’industria farmaceutica prospera sulle conseguenze. Si cura il sintomo, non la causa. Si vendono farmaci per il diabete, per il colesterolo, per l’ipertensione, per la depressione e per il declino cognitivo, ma raramente si parla con onestà della malnutrizione cronica che è alla base di tutto questo. Una popolazione sovralimentata e al tempo stesso denutrita è una popolazione facile da gestire: dipendente, stanca, medicalizzata.
C’è poi una dimensione più profonda, spesso rimossa: quella antropologica e morale. Il vizio della gola, elevato a diritto culturale, sta erodendo la salute fisica e spirituale dell’Occidente. L’eccesso di zucchero altera gli ormoni, riduce la fertilità, favorisce squilibri endocrini, abbassa la qualità del seme e compromette la salute riproduttiva. Non è solo un problema individuale: è un declino collettivo. Un corpo costantemente dopato di zucchero è un corpo che perde disciplina, misura, capacità di resistenza.
Dire che lo zucchero “uccide” può sembrare provocatorio, ma è una provocazione necessaria. Non perché una singola dose sia letale, ma perché l’abuso sistemico e normalizzato sta minando la salute delle persone e la sostenibilità dei sistemi sanitari. Lo zucchero non nutre: stimola, inganna, crea dipendenza. E una civiltà che basa la propria alimentazione sulla dipendenza è una civiltà fragile.
La vera rivoluzione non passa da nuove pillole, ma da un ritorno alla responsabilità alimentare, alla sobrietà, alla verità sul cibo. Ridurre drasticamente lo zucchero non è una moda: è un atto di resistenza culturale. Perché difendere il corpo oggi significa difendere anche la libertà, la lucidità e il futuro.
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