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Natura e soprannaturale: la phýsis e ciò che la oltrepassa nella riflessione filosofica cristiana

liliane Tami

Il pensiero occidentale ha sempre distinto, senza mai separare del tutto, ciò che appartiene alla natura (phýsis) e ciò che la oltrepassa. La parola greca phýsis indica ciò che nasce, cresce e si sviluppa secondo un principio interno: è l’ordine delle cause naturali, delle forze proprie degli esseri, della loro struttura e finalità intrinseca. In questo senso, la natura non è soltanto “ciò che è materiale”, ma l’insieme delle potenze e delle leggi che regolano l’essere di una cosa.

Con il cristianesimo, questo quadro viene ampliato. I Padri della Chiesa introducono progressivamente il linguaggio del soprannaturale (supernaturalitas), termine che compare in modo esplicito nella teologia tardo-antica e medievale per indicare ciò che non solo è “oltre” la natura, ma che non è dovuto alla natura. Un passaggio decisivo si trova nella teologia di Dionigi l’Areopagita, per il quale Dio è hyperousios, “al di là dell’essere”, e dunque al di là di ogni ordine naturale e conoscibile. Il soprannaturale nasce qui come linguaggio della eccedenza divina: Dio non è una causa tra le altre, ma Colui che dona l’essere e lo trascende infinitamente.

Nel pensiero teologico classico, soprattutto scolastico, il soprannaturale viene ulteriormente precisato. Si parla anzitutto di soprannaturale semplice, cioè di ciò che supera in assoluto le capacità di ogni natura creata: la visione beatifica di Dio, la grazia santificante, la partecipazione alla vita trinitaria. Nessuna creatura, per quanto perfetta, potrebbe raggiungere questi beni con le sole forze naturali: essi sono puro dono.

Accanto a questo, si distingue il preternaturale, che non va confuso con il soprannaturale in senso stretto. Il preternaturale indica realtà che superano l’esperienza ordinaria, ma non eccedono le possibilità di una natura creata in senso assoluto. Sono esempi classici i miracoli minori, certi carismi, o le prerogative attribuite, nella teologia tradizionale, allo stato originario dell’uomo (come l’assenza di sofferenza o di morte). Il preternaturale stupisce, ma non introduce ancora nell’ordine propriamente divino.

La riflessione medievale affina poi ulteriormente le categorie, parlando di soprannaturale “secundum quid”: qualcosa può essere soprannaturale rispetto a un soggetto o a una situazione, ma non in senso assoluto. Ciò che per l’uomo è soprannaturale, potrebbe non esserlo per un angelo; ciò che supera una certa natura, non supera necessariamente ogni natura creata. È una distinzione sottile, ma fondamentale per evitare confusioni e assolutizzazioni indebite.

Infine, la teologia distingue tra soprannaturale quoad substantiam e soprannaturale quoad modum. Il primo riguarda ciò che è soprannaturale nella sua essenza stessa: la grazia, la vita divina, la visione di Dio. Il secondo riguarda invece realtà naturali che vengono operate o manifestate in un modo che supera le leggi ordinarie della natura, come un miracolo che guarisce un corpo usando una causa divina immediata. In questo caso la sostanza resta naturale, ma il modo dell’azione è soprannaturale.

Queste distinzioni non sono esercizi astratti. Esse custodiscono un equilibrio decisivo del cristianesimo: la natura non è negata né disprezzata, ma assunta, elevata e compiuta. Il soprannaturale non distrugge la phýsis, ma la porta oltre se stessa, verso un fine che la natura da sola non potrebbe immaginare né raggiungere. In questa luce, il cristianesimo non è una fuga dal mondo, ma l’annuncio che la realtà, così com’è, è chiamata a una pienezza che viene dall’alto e che resta, fino in fondo, dono.

Relatore

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