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Deduzioni fiscali per i volontari: l’ennesimo trionfo del “benaltrismo” – Lorenzo Quadri

Il volontariato, specie nel settore sociale, è un supporto sempre più importante all’attività dell’ente pubblico, di fondazioni e di organizzazioni private. Il volontariato è una ricchezza importante per tutta la società. Grazie ai volontari, persone anziane o malate sono meno sole.
Nelle case per anziani, i volontari portano quel valore aggiunto di tipo umano che il personale, tenuto al rispetto delle consegne, pur con le migliori intenzioni, non può fornire.

In uno studio realizzato dall’ATTE sulla base dei dati statistici 2008, si ipotizzava che a livello svizzero il valore del volontariato organizzato (immaginando che ogni ora prestata “valesse” fr. 25.- ) superasse i 6.7 miliardi di franchi annui.
Il Rapporto sul volontariato in Svizzera del 2004, a pag. 12, osserva che i fornitori di prestazioni volontarie sempre più spesso si aspettano degli incentivi.
Introdurre degli incentivi di tipo fiscale, rendendo deducibili fiscalmente le spese occasionate dal volontariato, è anche una questione di logica. Infatti le cosiddette “liberalità” sono fiscalmente deducibili, mentre lo stesso non vale per le spese affrontate dai volontari nell’esercizio delle loro attività di utilità pubblica.
Il problema è noto alla politica da anni. Tant’è che con il Postulato P 01.3004, la Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale invitava il Consiglio federale ad «esaminare la creazione di condizioni quadro legali, affinché siano fiscalmente deducibili le spese provocate dall’esercizio del lavoro di utilità pubblica».
Con il rifiuto, da parte del Gran Consiglio ticinese, dell’iniziativa parlamentare generica presentata da chi scrive nel novembre 2010 e dal titolo “Rendere deducibili fiscalmente le spese legate all’esercizio del volontariato” il legislativo rifiuta di fatto di riconoscere il ruolo ed il valore di questa attività.

Ancora una volta trionfa il “benaltrismo”. Ossia quel principio che vuole che, davanti ad ogni proposta, si sollevi l’obiezione che bisogna fare “ben altro”, senza però avere la più pallida idea di cosa. Il risultato è che non si fa assolutamente nulla.
La conclusione cui giocoforza si giunge è una: le proposte vengono rifiutate semplicemente perché non arrivano dalla parte politica “giusta”.

Lorenzo Quadri
Già deputato in Gran Consiglio

Redazione

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