Il libro dello storico Jacques Pauwels – The Myth of the Good war, America in World War II – presenta documenti irrefutabili che mostrano che molte società statunitensi collaboravano con la Germania nazista e non solo all’inizio della guerra : Du Pont, Union Carbide, Esso, Westinghouse, General Electric, Ford, General Motors, Goodrich, Singer, Kodak, ITT, la banca JP Morgan…
Pauwels scrive che negli anni 1930 e 1940 gran parte del padronato statunitense era a favore di Adolf Hitler.
Questo atteggiamento non era cambiato nemmeno quando le vendite delle aziende americane vennero messe in pericolo dall’aggressività commerciale germanica nell’America del sud e altrove e dall’occupazione giapponese che confiscava tutto il commercio in Asia.
Gli Stati Uniti facevano il doppio gioco. Volevano che la guerra durasse il più a lungo possibile.
Da un lato, gli enormi profitti che le loro società realizzavano in Germania erano in crescita. Dall’altro lato, si arricchivano prestando alla Gran Bretagna, che sopportava tutto il peso finanziario della guerra. Washington poneva come condizione che Londra abbandonasse le sue colonie dopo la guerra. Il che accadde. Gli Stati Uniti sono riusciti ad approfittare della Seconda guerra mondiale per indebolire i loro rivali e diventare una grande superpotenza capitalista.
L’imprenditore americano Henry Ford : ”Né gli alleati né l’Asse dovrebbero vincere la guerra. Gli Stati Uniti dovrebbero fornire ai due campi i mezzi per continuare a battersi fin quando entrambi crolleranno.”
Il futuro presidente americano Harry Truman nel 1941 dichiarò : “Se la Germania vince dovremo aiutare la Russia e se la Russia vince dovremo aiutare la Germania.”
Il cinico gioco americano finì quando i soldati russi sconfissero quelli tedeschi. A quel punto gli Stati Uniti si precipitarono in Europa per salvare i loro interessi.
(Fonte : Mondialisation.ca)
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Ma sì, abbiamo capito anche questa. Cose già dette.
Le solite pervicaci revisioni storiche finalizzate ad attenuare, “diluire” il brutale cinismo di chi “effettivamente” volle (iniziò, diede avvio, scatenò) la Guerra con provate intenzioni egemoniche. E qui, inviterei gli scettici a rileggersi (riascoltare) almeno uno dei tanti sproloqui verbali tenuti (dall’alto dei famigerati balconi italici) dallo “statista in camicia nera”, tanto per convincersi della tronfia volontà imperialista declamata da uno degli aggressori originari. Oggi è fin troppo facile rileggere la Storia con distorti occhiali bipartisan.
Oltretutto le manifestazioni in Normandia per il settantesimo anniversario del D-Day, non sono “esclusivamente” la celebrazione di una vittoria militare (reattiva) e quindi politica, fatto che ha comunque restituito una fragile libertà democratica di cui ancora oggi tutti beneficiamo. Sono soprattutto una forma solenne di riconoscenza del ben concreto sacrificio degli uomini, semplici soldati, morti in zone di guerra, che per la maggior parte di loro, erano totalmente sconosciute.
Certamente Stalingrado, si può considerare l’altro momento topico del conflitto, dove il sacrificio umano fu “però” dei soldati dell’Armata Rossa. Rimosso quindi dallo “spirito del tempo” post-bellico a causa dell’anticomunismo imperante. Con l’approvazione entusiasta delle destre revisioniste.
Cosa abbia fatto prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale la politica americana non è argomento di discussione nel sesto giorno di giugno. Anche se l’attuale crisi è ancora europea perché solo qui è presente il grande boccone dei servizi pubblici che devono essere strappati al controllo degli stati e cambiare di proprietà: non più pubblica bensì privata. Con il debito pubblico si è aperta una finestra promozionale agevolata per poter realizzare questo vecchio sogno consustanziale alle destre economiche mondiali. Anche americane, ovviamente.
Rimane pure, non solo in Europa, una irriducibile e antistorica destra frustrata che si trascina tra un mai sopito anti-americanismo legato alla sconfitta sul fronte occidentale, e un altrettanto mai lenito anti-socialismo per l’altrettanta bruciante sconfitta sul fronte orientale. Un têtu déjà vu.