Scorrazzando in Toscana con Giacomo Puccini
dal libro “Addio Firenze, addio cielo divino!”
Più memorabile un altro infortunio occorsogli sulla strada di montagna tra Pietrasanta e Arni, anch’esso dai risvolti comici ma che avrebbe potuto avere conseguenze ben più drammatiche. Per comprendeme la dinamica occorre ricordare che in quegli anni le macchine in circolazione si contavano sulle dita di una mano. Se nelle grandi città una certa abitudine al traffico era ormai acquisita, ciò non valeva per i piccoli centri. I pochissimi fortunati proprietari di un’automobile usavano ritrovarsi presso locali pubblici al fine di discutere sulle prestazioni delle rispettive vetture, e magari invitarsi reciprocamente in qualche escursione per metterle alla prova. Uno dei meglio frequentati era il Caffè Margherita di Viareggio. I clienti parcheggiavano i veicoli sotto le palme della passeggiata, formando crocchi intorno ai tavoli all’aperto. Qui si davano appuntamento i personaggi più noti della riviera, indigeni o forestieri che fossero, e fra costoro molti uomini di cultura.
Un bel giorno, comunque, dopo tanto discutere decisero di organizzare insieme una breve escursione sulle Apuane, allo scopo di provare la nuova vettura acquistata da Carlo. All’andata guidava Puccini e tutto si svolse magnificamente. Al ritorno, invece, si sedette al volante il proprietario che, poco esperto com’era, affrontò una curva in discesa a velocità sostenuta all’altezza della fermata Levigliani del tram per Arni, finendo con le ruote anteriori nel precipizio. La situazione si presentava assai precaria: ogni movimento avrebbe potuto provocare la catastrofe. A quell’epoca, priva di cellulari, chiamare soccorso a distanza era impossibile. Come Dio volle apparve sulla strada un carro di fieno trainato da due bovi, condotto da un contadino. Quest’ultimo offrì il proprio aiuto ai due sfortunati viaggiatori: agganciando la vettura con una fune, e con l’ausilio degli animali, li avrebbe rimessi in carreggiata. A questo punto il conducente, sempre molto accorto nello spendere, gli chiese quanto sarebbe costato l’intervento. L’agricoltore, che forse un po’ furbetto poteva pure essere, sparò una cifra a prima vista eccessiva, rifiutata con apparente scandalo dall’autista, coadiuvato dalle imprecazioni del compositore, anch’egli d’accordo nel non subire un così vergognoso ricatto! «Vabbè, allora restate pure indò siete, io me ne vado», reagì il bovaro accennando al gesto di allontanarsi. «Ma no, cerchiamo di trovare un compromesso ragionevole», lo esortò Carlo dal finestrino, «in fin dei conti lei dovrebbe essere onorato di salvare una grande gloria nazionale. Chi mi siede accanto non è altri che il celebre maestro Giacomo Puccini!» Udito quel nome, quasi venerato in Versilia, il contadino si avvicinò alla portiera sinistra della vettura, la guida essendo a destra, fissò in volto il passeggero tanto per non passà pe’ bischero ; si convinse che l’identità corrispondeva, formulando allora una richiesta più moderata. La brutta avventura si avviò quindi a un lieto fine, ma il suo ricordo rimase negli annali di casa Vivaldi, quale simbolo di ciò che può l’avarizia (o la prudenza, come i due protagonisti avrebbero preferito definirla), quando un lucchese e un genovese s’incontrano.
Carlo Vivaldi-Forti
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