L’apripista Raoul Ghisletta, caduto da cavallo sulla via di Damasco (speriamo non si sia fatto troppo male), non esita un istante a polemizzare con il Capo, Manuele-“ve l’ho detto il 1° agosto”-Bertoli. Bella l’intervista che egli concede oggi a LiberaTV. Citazione:
“Per fare questo nuovo percorso occorre perlomeno dichiarare di partenza che sui Bilaterali abbiamo sbagliato, in buona fede ma abbiamo sbagliato, e che non si va più avanti con la libera circolazione delle persone in un mercato del lavoro all’insegna dello sfruttamento. Stop alla libera circolazione, perché diciamo stop allo sfruttamento.”
I progressi di Raouletto (alcuni lo chiamano così) sono evidenti. E tuttavia… certe conversioni continuano a sembrare alquanto sospette. Adesso arrivi? Certe cose non potevi dirle prima?
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Del senno di poi son piene le fosse. Mi pare che nel nostro microcosmo politico succeda piuttosto spesso, a sinistra come a destra.
Il chiarimento in casa socialista arriva con un certo ritardo.
E non poteva essere altrimenti.
Bisogna ammetterlo: il pensiero unico ha fatto enormi progressi.
Dopo l’Ottantanove.
Dopo il dicembre del ’91.
Malgrado i disastri ben camuffati.
I disastri… del 2008, intendevo dire.
Il mondo della finanza è riuscito ad imporre la propria legge anche alla dialettica politica.
Le leggi dell'economia hanno sottomesso il dibattito pubblico.
"Solo le imprese creano ricchezza!”. L'economia è "sovrana".
Il finanzcapitalismo è "il sovrano".
Un'imposizione ideologica che non si ferma nella pratica della quotidianità dei mercati.
Il con/senso/unico è perfino riuscito ad annullare ogni contestazione accademica, assoldando/seducendo schiere di economisti/giornalisti rampanti, spronandoli alla diffusione della dottrina monoteistica dei mercati.
Con la complicità di molta (tanta) informazione compiacente.
E lì sta il fulcro. Proprio o forse solo lì.
L’informazione che diventa propaganda mercantile.
La neolingua manageriale diventa… “giornalismo” e sviluppa argomenti sempre più vaghi e fluttuanti tali da confondere l'interlocutore o comunque lasciare sempre la scappatoia interpretativa soggettiva. In altri termini: proteggere l'immunità discorsiva dalle contraddizioni evidenti, ormai sommerse da astratti e seducenti discorsi sulla responsabilità e sulla libertà.
I propagandisti credono fermamente nella competizione.
Amano la competizione.
Da spettatori.
Favorevoli al libero scambio, alla efficacia della libertà economica, alla crescita, ai mercati, all'accumulazione, alla concorrenza.
Ma anche e soprattutto alla formazione selettiva, alla stratificazione antropologica.
Alla mixofobia economica.
Il loro ritornello lo conosciamo: uno Stato "obeso soffoca l'iniziativa privata e imbavaglia il dinamismo dell'economia". E predicano quasi quotidianamente dai media anche "low cost" (che sono tanti, forse troppi) gli "sconfinati" pregi del rischio.
Il loro credo: la flessibilità applicata; agli… altri.
Poi… nella retorica dei frenetici proclami quotidiani sulla crescita, si arriva perfino anche ad esprimere la compassione verso "gli esclusi", evitando tuttavia (con dettagliata attenzione) il “rischio” di contrastare efficacemente le cause di tale disagio. Ben consapevoli di lasciare alla pratica dei mercati le più "concrete" leggi sui profitti.
Il chiarimento in casa socialista arriva con un certo ritardo.
E non poteva essere altrimenti.
"I consumatori ricercano la massima soddisfazione,
i produttori il massimo profitto
e i lavoratori devono lottare contro il massimo sfruttamento."
(Carl William Brown)
"Il fatto è che i lavoratori non lottano."
(postrelativo)
L'economia è sovrana, indiscutibile. Ma il finanzcapitalismo non è sovrano. E`l'associazione di delinquenti (ancora) tollerati dalle leggi di un'umanità in parte dolente, nell'altra gaudente. Tra queste due parti stiamo noi, a non fare abbastanza per i dolenti, e troppo deboli per eliminare i gaudenti.