Sappiamo che per la cd “comunità internazionale” il “valore” della Libia è dato, essenzialmente, dalle sue produzioni e riserve d’idrocarburi (le prime dell’Africa) che si trovano, prevalentemente, a est del Paese (fra la Cirenaica e il confine con l’Egitto). Tutto il resto è noia, come cantava Franco Califano.
Se si continua a pensare, a trattare la Libia solo come un immenso giacimento d’idrocarburi temo che non potremo essere credibili e ben accetti in questo Paese che fu, per lungo tempo, colonia italiana. Perciò, bisogna cambiare registro e modalità di approccio. Per me la Libia (che ho avuto la ventura di conoscere in passato) non è solo petrolio e gas, ma è, prima di tutto, il suo popolo mite e pacifico, le sue bellezze naturali, la sua storia e civiltà antiche, gli innegabili progressi sociali realizzati durante la Jamahiria di Gheddafi.
Ho cercato di illustrare questa realtà, le sue luci e le sue pesanti ombre, in un libro (https://www.amazon.com/NELLA-GHEDDA…) anche per ricordare ai nostri, nuovi governanti la lungimiranza della politica estera italiana (da Moro ad Andreotti, da Berlinguer a Craxi, da D’Alema e Prodi – e un po’ anche- a Berlusconi) verso la Libia. Per non dire dell’intensa iniziativa, unitaria e responsabile, dei maggiori partiti italiani (Pci, Dc, Psi).
L’Isola divenne il fronte più avanzato dell’attacco di alcuni paesi Nato (senza la Germania, però!), da cui partirono navi e aerei per migliaia di micidiali bombardamenti. Oggi, di fronte al mutato quadro politico di riferimento, che vede il sedicente governo di Tripoli ai margini di ogni ragionevole prospettiva di soluzione della crisi, la Sicilia potrebbe essere re-investita di tale ruolo. Questa volta, però, rischiando di esporsi a probabili misure, a interventi di rappresaglia. Ferme restando le analisi e le valutazioni di ordine politico e strategico, c’è una preoccupazione, per non dire paura, che si coglie soprattutto in Sicilia costretta a sobbarcarsi da un lato l’impatto di enormi flussi migratori clandestini (provenienti quasi per intero dalla nuova Libia) e dall’altro lato il timore di una nuova guerra a due passi da casa.
Ovviamente, tale preoccupazione vale anche per il martoriato popolo libico che da sette anni non ha più pace, ma solo distruzioni e morte.
Agostino Spataro
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