Nemmeno le sue condizioni di salute erano valse alla scarcerazione, Liu Xiaobo si è spento ieri, all’età di 61 anni. Vana ogni richiesta di trasferimento all’estero, anche in Occidente; tiepidi i tentativi diplomatici: anche se la libertà gli era stata formalmente concessa il 26 giugno, il provvedimento non era mai divenuto effettivo. Troppi interessi in gioco con la Cina, dicono molti.
Nato il 28 dicembre 1955, trascorsa l’infanzia sotto la terribile dittatura di Mao, Liu diviene, nel 1989 protagonista della Primavera cinese. Imprigionato quale “dissidente popolare”, costretto a tre anni i lavori forzati, sposa poi nel 1996 la poetessa Liu Xia, la quale dichiara di voler sposare volontariamente “quel nemico dello stato”.
Indi la propaganda sulla libertà di espressione, anche andando contro lo stato, e la fondazione di Charta, manifesto dal 2008 che raccolse 303 attivisti in nome del rispetto dei diritti umani, che gli costerà la conseguente incarcerazione.
Liu riceve il premio Nobel per la pace, mentre è in prigione, nel 2010, come von Ossietzky e Aung San Suu Kyi.
Intellettuale dissidente, paladino della libertà, dal carcere, un estremo sospiro di vita.
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