Appunti

L’ingovernabilità non spaventa più nessuno – di Carlo Curti

Dal 24 settembre la Germania si trova ancora senza governo con la probabilità di nuove elezioni. Il paese che viene portato avanti come esempio di “stabilità politica” si è impantanato nel più classico stallo all’italiana, un’impasse che però ha motivazioni di portata generale. La Germania è solo l’ultimo dei paesi senza governo. Negli ultimi due anni, solo in Europa, abbiamo avuto la Spagna senza governo per un anno intero, l’Olanda per otto mesi, la Gran Bretagna ancora oggi senza maggioranza parlamentare. La stabilità non risiede evidentemente nei governi nazionali. Infatti, nessuno di questi tre paesi ha dovuto affrontare vendette finanziarie, attacchi speculativi, fuga degli investitori o declini produttivi. Al contrario, tutti hanno visto un indicativo rialzo delle stime di crescita. Anche in Italia una prospettiva di lunghi mesi senza governo con probabili elezioni non turba più nessuno. Ferruccio de Bortoli, sul Corriere della Sera, scrive che il rischio politico che non vi sia maggioranza governativa è largamente sovrastimato. Questo squarcio di sincerità fa luce su una delle verità acquisite della governance europeista: Se i programmi politici dei diversi partiti si equivalgono, non solo non importa chi di questi andrà al governo, ma non è neanche rilevante che alla fine ci vada qualcuno. In altre parole, con un governo o senza, le leggi di stabilità sarebbero comunque decise da Bruxelles e Francoforte. Poco importa che a ricevere le “raccomandazioni” sia un governo democratico o conservatore. Questa torsione democratica è alla base dell’instabilità dei rapporti politici nelle diverse nazioni. La sovrapposizione dei programmi dei principali partiti determina due effetti: Da una parte aumenta l’astensione elettorale come risposta all’impossibile alternativa alle politiche di rigore finanziario; Dall’altra erode i consensi dei partiti di centro (destra e sinistra liberali) per trasferirli al famigerato populismo, spettro che agita i sogni di euroburocrati e ceto medio progressista. La situazione tedesca rappresenta la normalità, non l’eccezione, della politica europeista, anzi è la condizione ottimale che impone il commissariamento non solo più di fatto ma anche di diritto. Stati solidissimi governati dal commissariamento euro liberista e governi debolissimi delegittimati da astensionismo e opposizione populista. Dunque l’ingovernabilità non genera instabilità. Questo lo scenario dei prossimi mesi, una stabilità che si rafforza a prescindere dalla politica che vive fino in fondo la sua delegittimazione.

L’ingovernabilità non spaventa più nessuno.

Carlo Curti, Lugano

Relatore

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  • Condivido l’analisi "curtiana". Aggiungerei senza spocchia di saccenza che un politologo inglese, Colin Crouch, aveva a suo tempo, ben illustrato i termini del fenomeno parlando di politica “postdemocratica”. Egli descrive compiutamente l’esistenza di una sostanziale (e taciuta) differenza tra società neoliberale (disuguagliante) e una società democratica che ha esigenze (invece) di una minima dose di parità decisionali. Purtroppo si ha la tendenza ad identificare implicitamente i due concetti, fondamentalmente distanti anni luce.

    Egli ci segnala inoltre le sostanziali contraddizioni esistenti tra l’ideologia neo-liberale, che domina oggi la politica cosiddetta democratica, fondata essenzialmente - da una parte - sul rapporto diretto tra le grandi imprese multinazionali globalizzate e i governi degli stati eletti o/e nominati - di qualsiasi colore essi siano - dall’altra.
    Ovviamente il sistema neoliberale globalizzato desidererebbe poter privilegiare governi dall’aspetto democratico più appariscente, così da illustrare alle masse la democraticità delle scelte di “governance” altrove invece attuate. Tuttavia in mancanza d’altro accetta pure governi para-autoritari oppure stati… senza governo considerati da Curti.

    Lascia alla politica chiacchierata le sottigliezze inconcludenti di una classe dirigente ben retribuita, comunque valida a un controllo popolare di routine, ben sostenuta dai poteri forti, dalle potenti lobby multinazionali e dai grandi mezzi di comunicazione di massa.

    E così la democrazia risulta «formalmente intatta», ma in reltà è sottomessa a una potente oligarchia, dotata di grandi risorse finanziarie, quindi di persuasione, dunque sempre più capace di gestire il consenso. E il dissenso.

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