Focus

Arte, cultura e archeologia industriale. Quale futuro per l’ex macello? – di Orio Galli

Certo, l’uomo non vive di solo pane. Ogni tanto ha voglia anche di brioche. E quando ha soddisfatto gli appetiti primari qualche volta la sua mente e il suo stomaco reclamano pure arte e cultura. E ne ha ben donde. Ma di quale arte, di quale cultura vogliamo parlare? Per limitarci alle arti plastico–visive contemporanee vorrei qui segnalare solo un paio di cose: 1) La totale – o quasi – latitanza da parte della scuola e dei mass media nella formazione dei giovani alla lettura critica delle immagini. 2) La crisi dell’arte, a partire dalla metà del Novecento, da quando è iniziato il suo “slittamento” dal campo dell’estetica a quello della filosofia (Franco Zambelloni, “L’arte di provocare”*, su Azione del 22.12.2014) e «… in una società per la quale la cultura non è altro che un divertimento e il museo un magazzino». (Jean Clair, “La crisi dei musei”*,Skira, 2008).

*Due testi, insieme ai famosi saggi su “La definizione dell’arte” scritti da Umberto Eco già a inizio anni ’60, dei quali raccomando vivamente la lettura.

Mai come oggi sembra però che di arte e di cultura si parli e si scriva. ad ogni piè sospinto (fors’anche perché in mancanza di più concreti e remunerativi lavori molte persone si danno oggi all’arte?) ma sovente con grande superficialità.
In ogni caso di arte e di cultura si parla quasi quotidianamente da noi soprattutto di questi tempi in vista (e trepidante, spasmosica attesa?) dell’apertura del tanto discusso e, da alcuni, contestato LAC a Lugano.

La cultura non può naturalmente vivere di sole buone intenzioni e di attività non lucrative. Oltre a procurare in certi casi indubbi benefici economici queste nobili attività presentano pure dei costi. E necessitano quendi di denari che dovrebbero però venir utilizzati in primo luogo per la ricerca, la conservazione, la catalogazione, l’esposizione e la creazione delle opere. E non per titillare il potere dei riti, con le sue celebrazioni e autocelebrazioni da Palazzo. Palazzo inteso anche come sostanza concreta fatta di cemento, vetro, legno, alluminio…(Quasi che la cultura, per poter esprimersi e diffondersi al meglio, abbia assolutamente quasi sempre bisogno di una struttura fissa, di un monumento completamente nuovo. Nuovo magari solo perché prodotto da un’archi star).

Andate a vedere, tanto per fare due piccoli esempi, come hanno recuperato e integrato in funzione di spazi culturali, la citta di Bordeaux i suoi ex Magazzini del sale, e il Comune di Appenzello una vecchia fornace di laterizi da tempo fuori uso. A Lugano cosa si è saputo fare con l’Asilo Ciani o con l’ex Macello? (sembra che un’ennesima Commissione, o Gruppo di lavoro, stia ancora chinandosi su quest’ultimo oggetto…). Un’intelligente riutilizzazione–valorizzazione di questi due spazi, ricchi anche di passato, sarebbe stata per cominciare un’operazione veramente culturale.

Ricordo per terminare che un paio di decenni orsono l’AITI (Associazione Industrie Ticinesi) iniziò a redigere l’inventario degli oggetti dell “archeologia industriale” esistenti del nostro cantone. Non ho mai saputo però che fine abbia fatto quell’inventario. So invece con certezza che nel frattempo molti di questi oggetti, di questi siti di valore storico, artistico, sociale, culturale… presenti sul nostro territorio hanno fatto una brutta, miseranda fine.

Orio Galli

 

Relatore

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