Le vittime immediate di questi giochi di potere sono in primo luogo i docenti, che da autorevoli figure di un tempo (“ul sciur maestro”) diventano ormai sempre più degli esecutori della volontà ministeriale. Privati dell’autonomia che da sempre li motiva, li responsabilizza e permette loro di trasmettere il massimo all’allievo. Lo sappiamo bene tutti noi che abbiamo esperienze dirette di insegnamento e che abbiamo a cuore la nostra interazione con l’alunno. La SCV non è il frutto del lavoro proveniente dalla base, bensì un esperimento troppo complicato, una forzatura dirigista calata dall’alto. In queste settimane è sintomatica la manifesta paura dei docenti a metter fuori la faccia. Il lettore attento si sarà infatti accorto che gli unici docenti pubblicamente esposti sono quelli in pensione, liberi da eventuali ritorsioni dipartimentali. Non a caso questi per lo più criticano duramente la SCV.
Il 31 marzo 2017, il PLR rispondeva negativamente alla consultazione sulla SCV citando Giuseppe Buffi: “L’insegnamento scolastico non può ignorare i contenuti competitivi della società. A un certo punto del suo cammino la scuola dovrà decidere chi far proseguire su una strada e chi su un’altra, distinguendo tra allievi ‘bravi’ (scolasticamente parlando) e allievi con attitudini e doti non meno importanti, non meno nobili, ma diverse, scolasticamente meno redditizie.” Poi chissà per quale alchimia quel partito, benché ricco di docenti, si è ricreduto di 180°. Noi crediamo invece che le parole del compianto Buffi siano sempre attuali e vadano considerate con attenzione. Se il 23 settembre le cittadine ed i cittadini ticinesi – comprese le e i docenti – nel segreto dell’urna vorranno stroncare sul nascere la SCV, sarà finalmente possibile approfondire per uno o due anni le questioni fin qui non evase. Tutti siamo concordi sulla necessità di mettere mano alla scuola ticinese (ha ragione Manuele Bertoli quando critica le intere legislature di inazione di chi l’ha preceduto), ma va raggiunto un vero consenso allargato con docenti, genitori, società civile e datori di lavoro. Serve un orientamento verso gli sbocchi post-obbligatori (e non una scuola dell’obbligo come un limbo a sé stante dove illudere l’alunno che il mondo giri dalla parte non vera), definire contenuti precisi anziché declamare generiche competenze sociali, semplificare i curricula, e implementare percorsi differenziati in terza e quarta media. Se a questo cantiere lavorasse in primo luogo chi ha esperienza diretta di insegnamento, certamente la cosa non guasterebbe e la riforma sarebbe più promettente.
Paolo Pamini
Istituto Liberale e granconsigliere UDC
(pubblicato come Opinione nel CdT)
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