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Sui cambiamenti climatici USA e Cina sono agli antipodi

di Massimiliano Ay, segretario politico del Partito Comunista

Il collega Daniele Pinoja, deputato UDC in Gran Consiglio, ha pubblicato in occasione dell’ultima campagna per le elezioni federali un breve articolo sul tema del clima e dell’ambiente. Approfitto dell’odierno “sciopero per il clima” per rispondergli. 

Il deputato Pinoja loda infatti l’impegno svizzero in questo ambito ma attacca Stati Uniti, Cina e India, rei secondo lui di non applicare “una politica ambientale corretta” e per il fatto “che non sottoscrivono gli accordi internazionali”. 

Se sugli Stati Uniti c’è poco da ribattere, nel senso che è effettivamente vero che il presidente Donald Trump (peraltro ben visto da una buona parte dell’UDC) ha rescisso gli impegni internazionali in tal senso (basti pensare agli accordi di Parigi sul clima); per quanto concerne la Cina proprio non ci siamo. Già definire la Cina e l’India due paesi industrializzati mettendoli nel medesimo calderone con gli Stati Uniti è a mio avviso non del tutto corretto, essendo i primi due (a differenza dell’ultimo) dei paesi emergenti.

Ma quello che contesto è in particolare la tesi secondo cui la Cina non faccia abbastanza nella protezione dell’ecosistema. Poche settimane fa sono stato invitato – in quanto segretario politico del Partito Comunista – dall’Ambasciatore cinese a Berna per un ricevimento a cui erano presenti anche vari rappresentanti istituzionali e militari della Confederazione. Nel suo discorso l’onorevole Geng Wenbing ha sottolineato più volte l’impegno di Pechino nel contrastare l’inquinamento e vi sono non pochi documenti strategici del governo cinese che affrontano il tema del cambiamento climatico. 

E i dati sono lì a dimostrarlo: a fine 2018 la Repubblica Popolare, leader nelle energie rinnovabili e promotrice del più grande “inverdimento” del pianeta degli ultimi 20 anni, ha saputo ridurre oltre le aspettative la quantità di anidride carbonica emessa per unità di Prodotto Interno Lordo di oltre il 45% rispetto ai valori del 2005, raggiungendo così prima del previsto l’obiettivo di un calo del 40% entro il 2020. Giova inoltre ricordare al deputato UDC che i sempre più ampi accordi fra Svizzera e Cina consistono proprio nel progetto “Sino-Swiss Low Carbon Cities” atto ad abbassare le emissioni di CO2 nelle metropoli di Chengdu, Guangzhou e Chongqing.

Non c’è molto di cui stupirsi: la Cina, benché abbia aperto la propria economia al mercato, resta un paese orientato al socialismo, tanto è vero che non solo l’intervento pubblico in economia è forte, ma addirittura il mercato è posto sotto controllo politico. In Cina esiste ancora, e non a caso, un piano quinquennale che regola in modo razionale lo sviluppo economico della nazione e dunque il tipo di sfruttamento delle risorse naturali: è questo uno dei segreti dell’impetuoso sviluppo del Paese asiatico. E’ il piano che dirige il mercato e che dunque lo orienta: se la politica (quindi il Partito Comunista Cinese) decide che i margini di profitto devono diminuire a favore di misure ecologiche, questo avviene senza che alcuna multinazionale vi si mette di traverso! 

Quindi no, collega Pinoja, mentre gli USA considerano il diritto internazionale carta straccia e si atteggiano da pirati occupando ambasciate, bombardando paesi sovrani, organizzando colpi di stato, imponendo al nostro stesso Paese e alle aziende svizzere l’extraterritorialità delle leggi americane; la Cina è un paese che rispetta i propri impegni internazionali, quelli sull’ambiente in modo particolare.

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