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“I senza nome” di Luca Ariano: “persone di tutti i giorni, che fanno la Storia”

La sua sesta raccolta di poesie, si intitola La memoria dei senza nome. Chi sono i “senza nome”, e come fanno ad avere “memoria”?

I “senza nome” sono le persone che fanno la Storia pur non essendo famose le cui vite vengono descritte da storici o narratori, quelli che tutti i giorni, sulla propria pelle, subiscono le vicende della vita e della Storia e che, forse, mai entreranno nei libri, ma sono parte integrante di ogni epoca. “Memoria” è sapere da dove veniamo, se perdi questo diventa tutto più complicato.

Cos’è la “memoria”?

“Memoria” è coltivare le proprie radici per comprendere il presente ed affrontare le sfide che il futuro pone e che non sono mai facili da affrontare.

Dal 1999 ad oggi ha pubblicato sei raccolte di poesie. Quali sono i cambiamenti che avverte, in quest’ultima raccolta, rispetto alle prime?

Quest’ultima raccolta chiude una trilogia cominciata con la prima versione di “Contratto a termine”. Sono cambiato io come persona, ho iniziato a pubblicare all’età di vent’anni, poco più che un ragazzo, questa raccolta è invece uscita a quarantadue anni, l’età di un uomo. Sono cambiate di pari passo con le mie esperienze di vita, le mie letture, le conoscenze, amori, ho assistito a morti dolorose e ad altri avvenimenti storici e sociali.

Nella sua raccolta ricorrono frequentemente gli stessi nomi: Teresa, Giggino, l’Enrico e Fiulin. Simboli o reminiscenze di persone reali?

Sono tutte figure ispirate a persone che esistono realmente, ma che poi, trattandosi di libri di poesie, mi riservo la facoltà di romanzare le loro vite, però, in ognuno di loro, ci sono anch’io, ma anche altri personaggi inventati che intrecciano le loro vite alla Storia.

I personaggi delle sue poesie sono paladini di una realtà per certi versi atroce, apparentemente senza possibilità di redenzione. È così?

I miei personaggi spesso subiscono le vicende della Storia, del destino, di qualcosa più grande di loro, ma ci sono anche individui che resistono, lottano e combattono per un presente migliore e anche per dare un futuro a chi verrà dopo di loro.

C’è una possibilità di scampo, da una realtà che dalle sue poesie emerge come “alienante”?

La realtà che descrivo è spesso “alienante”, ma spesso fuggono da questa realtà coi loro sogni, attraverso la poesia o lottando anche fino alla morte per qualche cosa in cui credono che può essere un ideale, la religione, l’amore o altro.

Nelle sue poesie sembra che la presa di coscienza che l’individuo (Rosa, Teresa, il Fiulin, l’Enrico), rivendichi, consista nell’amore sensuale. È così? L’amore può riscattare da una realtà grigia, travolgente e alienante?

L’amore è alla base di ogni cosa, anche dei rapporti sociali. Se non c’è amore (nel senso più ampio del termine) diventa tutto grigio, incolore e privo di “anima”. Amore per il prossimo, per il proprio lavoro, per i figli, per la natura, per il proprio compagno o compagna o anche solo per qualche cosa in cui si crede fino in fondo e per cui valga la pena di lottare e vivere.

Dalle sue poesie emerge spesso il mondo operaio “che fu”, della civiltà industriale del secolo scorso, come un fantasma di rottami, indimenticabile, con il quale il mondo tecnologico del nuovo secolo deve necessariamente fare i conti. Qual è la sua visione tra “quartieri operai” e “anime digitali”?

Negli ultimi decenni la società è cambiata rapidamente ed anche il mondo del lavoro. Non ho nostalgia per un passato industriale che non ho vissuto personalmente, ma mi viene naturale, da osservatore, fare i confronti e, come ho detto spesso, temo l’uso distorto che può essere fatto della tecnologia se dovesse diventare strumento di oppressione, di perdita di lavoro, di soprusi, bullismo, ecc. Mi affascinano i ruderi industriali sempre nell’ottica di sapere che lì hanno lavorato persone per vivere e per dare un futuro migliore ai propri figli e che non sempre è andata come speravano o sognavano e le loro sofferenze non sempre sono state ripagate.

Il covid ha danneggiato o suscitato la poesia?

Il Covid ha peggiorato i rapporti umani. Non ho mai creduto alla retorica del “Saremo tutti migliori”. Ogni aspetto della vita può suscitare poesia anche se non apprezzo molto le poesie scritte sull’onda del momento quando diventano “moda” o vengono scritte solo per usi commerciali o perché l’argomento del momento lo richiede. Anch’io ho scritto sul Covid, o meglio, sul periodo, ma non nell’immediato, bensì a distanza, meditando.

La sua è una poesia civile. Militante o di rassegnazione?

Dipende cosa si intende per militante. Se si intende poesia che vuole emozionare, far riflettere, scuotere, aprire mondi e finestre mi considero militante, sennò no. Non penso di essere rassegnato di natura, ma c’è anche questo aspetto in molti momenti o vite e a volte mi sento di descriverlo in versi.

Da Petrarca a Bruce Springsteen, le citazioni in apice alle sue poesie sono molte e variegate. Lei abbraccia tutta la poesia (e la musica)?

Le citazioni nelle mie poesie sono sempre in funzione di quello che voglio scrivere perché siamo sempre nani sulle spalle di giganti, e, per rimanere in tema di memoria, non si può scrivere senza conoscere i classici e chi ci ha preceduto, non solo poeti, ma anche scrittori, filosofi, artisti, cineasti, ecc.

Ci sono anche reminiscenze musicali, nelle sue composizioni?

La musica, come per tanti, è la colonna sonora di una vita, le mie poesie nascono da esperienze di vita e ci sono anche reminiscenze musicali, oltre che, naturalmente, musicalità che è alla base della poesia. Amo molto i cantautori, il rock, ma anche il Jazz e la Musica Classica.

Intervista a cura di Chantal Fantuzzi

Relatore

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