Estero

“Ottantanove” di Frosini-Timpano: la Rivoluzione Francese in Tour nei teatri italiani

Foto di Ilaria Scarpa (gentilmente concessa da Frosini-Timpano)

1789: il buio inghiotte ciprie, parrucche e crinoline e tre aristocratici scompaiono sulle note dure e caotiche di “France” dei Laibach (2006). Fulminati, appaiono un’ultima volta, prima di venire inghiottiti dall’oscurità dei tempi che cambiano. È un sapiente gioco di luci, accompagnato da una rara maestria recitativa, spontanea, dinamica e immediata, quello dei Frosini – Timpano, attori, registi e produttori che questa volta portano in scena la Rivoluzione, nello spettacolo Ottantanove

L’89, ça va sans dire, è l’anno fatidico di due rivoluzioni: la Rivoluzione Francese e la Caduta del Muro di Berlino. Daniele Timpano e Elvira Frosini, per la prima volta affiancati in scena dal terzo attore, Marco Cavalcoli, portano in scena l’eredità attiva della Rivoluzione, offrendone un quadro denudato dai cliché, che si presta generosamente ad interpretazioni di larghe vedute.

Il talento della compagnia teatrale si può già dedurre dai primi minuti dello spettacolo, in cui Timpano e Frosini, iniziano senza iniziare. Ovvero, se accettiamo la paradigmatica definizione secondo cui il teatro sia finizione, possiamo dire che gli attori fingano di non iniziare (ma il pubblico non se ne accorge mica che stanno fingendo!). Così, fingendo di non iniziare, i due attori dimostrano di saper creare l’attesa e di saper gestire il tempo, il silenzio, l’aspettativa stessa – operazione pressoché impossibile, basti pensare all’ansia per le presunte pretese degli spettatori. – Quando Cavalcoli si alza dal pubblico e con un monologo basato su luoghi comuni (razzismo e omofobia) dà avvio alla recitazione (lo spettacolo era già iniziato, n.d.r.), si rombe l’attesa e la quarta parete, di modo che il pubblico (“interpretato” dallo stesso Cavalcoli) interagisca col palcoscenico (di Frosini eTimpano).

Tre, le Rivoluzioni elencate come punti cardini di non ritorno: Protestantesimo, Rivoluzione Francese e Rivoluzione Russa; infatti, sulle magliette – rossissime – ad un certo punto (bella sorpresa!) campeggiano i volti di Lutero, Robespierre e Lenin; molteplici, invece, i minuziosi – ma mai pedanti e, anzi, sempre interessantissimi – rimandi storici agli elementi che hanno fatto da cornice alla Rivoluzione Francese, (come che la Marsigliese sia stata scritta da un italiano, Giovan Battista Viotti nel 1781, o che il Sacro Cuore di Marat venne a sostituirsi a quello di Gesù nel momento più estremo del fanatismo rivoluzionario). Citati (e sempre con effetto) i tanti, drammatici, stravolgimenti sociali, compresa la Comune del 1871, la Rivoluzione del ’68, l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, Palmira distrutta dall’Isis, e Margaret Thatcher (recentemente consegnata al volgo dall’interpretazione golden globe di Gillian Anderson) che pronuncia il celebre discorso “la società non esiste, esistono gli individui”, parole su cui l’uomo d’oggi – interpretato dai tre attori – può, anzi deve, anche se a malincuore, concordare. Spassosi, infine, i luoghi comuni, recitati in maniera superlativa, su (e contro) i francesi, forse volti a mostrare l’inevitabile errore risorgimentale (ereditato dal volgo attuale) di fondare la propria identità sull’odio delle altre.

Ottantanove consegna al pubblico una Rivoluzione spogliata dal prototipo di tricolori e cappelli frigi (anche se un tricolore- enorme e sbiadito – campeggia nello spazio scenico, sobrio e scarno).Non si può però dire che la visione sia imparziale nei confronti della Rivoluzione, e dei rivoluzionari di ieri e di oggi: tanto quanto viene ricordata l’atroce condanna toccata ai rivoluzionari della Commune del 1871, – finiti fucilati o sciolti nella calce viva – tanto viene taciuta la controrivoluzione della Vandea, che si attuò in quattro guerre dal 1793 al 1813 e finì con lo sterminio degli antigiacobini e della quale viene solo citata una strofa della canzone dei vandeani (ma chi capirà?), in un monologo generico sulle rivolte, assieme a Bandiera rossa e a Bella ciao. Allo stesso modo, la contestualizzabile, comprensibile, ed esponente di un filone storicistico interpretativo di tutto rispetto, interpretazione della Rivoluzione Francese come rivolta anticristiana, viene – se pur portata in scena e recitata encomiabilmente – liquidata con un “continua su Vaticanocattolico.com” il che, se da un lato si rivela spassoso, dall’altro, con l’ilarità, mette a tacere l’altra visione.

Straordinarie le recitazioni di Novantatré Victor Hugo e dell’Ortis di Ugo Foscolo: attraverso gli occhi dei giganti, noi “nani”, possiamo re-interpretare ma soprattutto capire quello che è stata – veramente – la Rivoluzione. E capiamo che la Rivoluzione non può esser definita, quanto, semmai, essere stata vissuta. Il resto, è “solo” interpretazione.    

Infatti c’è Vittorio Alfieri. Viene recitato – in maniera tempestosa e travolgente da Daniele Timpano – prima il suo Parigi Sbastigliato, con il quale il trageda salutava l’abbattimento dell’Ancien Regime e poi il Misogallo con cui chiamava i giacobini “fantoccini sanguinari”.

La Rivoluzione è come l’infanzia, dicono gli attori all’inizio dello spettacolo, e nell’infanzia c’è ottimismo e speranza, ma ti può anche capitare di tirare un sasso in fronte a un tuo compagno di scuola, e venire punito per questo. Oppure venirne esaltato, se ti chiami Balilla, e chi si prende il sasso in testa è il soldato austriaco del 5 dicembre 1746.

Ottantanove. Consigliato? Assolutamente sì, per la recitazione, per la pregnanza di storia senza pedanteria, e per il puro gusto di apprendere, e comprendere. Ma non aspettatevi una rilettura demistificata della Rivoluzione.

Relatore

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