Primo piano

Un simbolo d’amore e dolore non può essere divisivo e anacronistico

La nota associazione alpinistica (ital.) se ne esce stamane con un comunicato, spiegando che considera le croci sulle vette “inadatte a un presente caratterizzato da dialogo interculturale e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali”.

Il centro alpinistico italiano sostiene, infatti, che la croce non si coniugi più con “un presente caratterizzato da un dialogo interculturale, che va ampliandosi, e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali”. I soci, per la verità, sono divisi e non concordi, ma per esempio, le guide di Alagna (Vercelli) hanno già cominciato a rimuoverle per ammassarle in un memoriale.

Ho visto di recente un film, “Le otto montagne” struggente quanto lento melodramma sull’amicizia fraterna e il conflittuale rapporto padre-figlio, e proprio sulla scena in cui i protagonisti raggiungono la vetta, sormontata da una croce ferrea, mi ero chiesta vagamente presaga dell’imminente avvenire, qualcosa. Non so neanch’io propriamente cosa, se fino a quando le croci sarebbero rimaste sulle vette o, piuttosto, se quelle croci non fossero che un ultimo eco di una civiltà cristiana già morente e agonizzante. Quasi come una Cassandra inconscia, ecco or ora ricevere tale notizia. Chi scrive non è praticante, né religiosa, e neppure alpinista, ma il pensiero di vedere vietato un simbolo millenario, è quantomeno straziante.

La croce – condanna a morte durante l’Impero Romano – diviene simbolo dei cristiani allor quando il loro predicatore viene condannato a morte sulla croce. Nasce quindi come simbolo di dolore, di umiliazione, ma anche di amore per l’umanità: poiché è il Figlio di Dio che si abbassa alla più truce delle condanne, per prospettare all’umanità – quella stessa umanità che lo ha condannato – una fratellanza universale e una vita dopo la morte.

Ma la croce, simbolo di per sé antichissimo, è anche l’Ankh egizio, una rappresentazione simbolica del sorgere del sole, che solo dopo millenii si fonderà col cristianesimo copto.

Chiaramente, se si relaziona il cristianesimo unicamente all’assassinio di Ipazia, all’Inquisizione, ai martiri come Giordano Bruno o Campanella, ecco avere il prospetto di una religione (più politica che religiosa) fortemente divisiva; se lo si relaziona invece ai grandi pensatori come Origene, Agostino, Ambrogio, Tommaso, Alberto Magno, Francesco, sino a Don Bosco o Giovanni Paolo II, diviene la potente filosofia che cambiò l’umanità; se, infine, non lo si discerne dalla sua origine rivoluzionaria, che insegnò invece il valore del singolo all’interno della comunità ecumenica, della vita e dei valori, ecco diventare una filosofia di vita e di speranza, di solacio per gli afflitti, di prospetto di un migliore su cui vivere, lontano da questa “stella malata” come avrebbe detto Harding o da questo “atomo opaco del male” come avrebbe detto Pascoli. E quale messaggio migliore, sulle vette che si protendono al cielo nel fulgore dei raggi del primo sole, così lontano dalla terra insanguinata?

Evidentemente, così non è per una politica nichilista che, con il pretesto di includere, annulla.

Relatore

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