Diretto dai registi tedeschi Vandermeersch e Groeningen, tratto dal romanzo italiano di Paolo Cognetti vincitore del Premio Strega 2017, Le otto montagne è un film lento, lungo, a tratti pesante, che verso la fine, però, accende antri reconditi dell’animo umano, trasformando l’amicizia e la pietà filiale, tra i due protagonisti – temi su cui si fonda il romanzo – in un ampio discorso in senso lato.

Le otto montagne sono, anzitutto, non otto cime delle Alpi, bensì otto cime del folklore indiano, circondante, nell’immaginario popolare, da altrettanti otto mari: al centro, il Monte Meru, la più alta di tutti. È meglio visitarle tutte o salire sulla più alta? Bruno risponde sulla più alta, Pietro su tutte le altre.

Su questo quesito – appunto – si interrogheranno, nel punto centrale del film, i due protagonisti: il “montanaro” Bruno (Alessandro Borghi) e il cittadino Pietro (Luca Martinelli). Il film inizia quando i due hanno, all’incirca, dodici anni: Pietro, in villeggiatura, incontra l’ultimo bambino dello spopolato villaggio di Grana, Bruno, appunto. La famiglia di Pietro vorrebbe “adottare” Bruno (orfano di madre), strapparlo ai pascoli e farlo studiare in città, ma il di lui padre lo porta a lavorare in un cantiere in Svizzera, strappandogli l’adolescenza. La famiglia di Pietro perde un figlio acquisito e, poco più tardi, quello biologico: Pietro infatti litiga con suo padre, col quale non vuole più condividere la passione per l’alpinismo. Quella passione, fatta di scalate e visite ai ghiacciai, l’uomo la condividerà allora con il ritrovato figlio adottivo, Bruno, dopo aver “perso” il proprio. È però la morte del padre a riavvicinare i due giovani, ormai adulti e, perlopiù, senza granché in mano. Bruno torna così a lavorare sugli alpeggi, confessando a Pietro che suo padre gli aveva chiesti di mantenere la promessa di costruire un alpeggio in cima ad una vetta.

La costruzione della casa di sassi è il momento centrale della narrazione, perché attraverso l’adempimento della promessa che il defunto padre ha fatto all’amico, Pietro “sconta” così la pena di non aver più rivolto la parola, per molto tempo, al proprio genitore. Nella nuova casa vengono invitati alcuni amici di città, tra cui Lara, fiamma di Pietro, che intreccia – invece – una relazione con Bruno, generando una bambina, Anita.

“Estromesso” dal concetto di famiglia, Pietro trova l’amore in Nepal, in un’insegnante, Asmi. Qui, trova anche la sua filosofia: non solo le otto montagne, ma anche la “sepoltura celeste”: lasciare che i cadaveri vengano smembrati dai corvi, così da sparire in cielo, perché in Nepal – dice Pietro – “non hanno abbastanza legna per bruciarli”.

Ed è proprio tale sepoltura che toccherà – inconsapevolmente – a Bruno: dopo un litigio con la compagna Lara, sommersa dai debiti per la difficoltà di vivere ad alta quota, Bruno rimane sulla propria casupola, che verrà sommersa dalla neve. All’arrivo dei soccorsi: il corpo di Bruno non è in casa. Indugia, la macchina da presa, sull’immagine di corvi che, a primavera, beccano dei resti. Pietro, tornerà quindi in Nepal, dalla sua Asmi.

Un viaggio alla ricerca di se stessi, anche se, forse, non c’era bisogno di andare così lontano.

Alessandro Borghi nei panni di Bruno (a sx) e Luca Martinelli nei panni di Pietro (a dx).