Rincasava dal lavoro quando il postino le consegnò la lettera aggiungendo: “Viene da lontano”. Un sacco di timbri e il francobollo non lasciavano dubbi. Aprì e lesse in silenzio: “Per trovare il coraggio di dirtelo son dovuto andare fino alla fine del mondo. Quaggiù la vita è dura e il rumore più forte è quello del vento ma la sera, se alzi lo sguardo al cielo, rischi di non addormentarti più. Ti aspetto !” In fondo al foglio il recapito del giovanotto che aveva fatto il garzone nella macelleria del quartiere e che da qualche tempo non aveva più visto in bottega. Strana storia quella della sorella di mio nonno; il ragazzo le era piaciuto subito ma non era mai riuscita a spiccicare una parola, lui pure. Parlavano solo con gli occhi e lo facevano talmente bene che tutti se n’erano accorti. Poi un giorno le raccontarono che era scappato per non andare a combattere contro gli austriaci e le visite dal macellaio si ridussero allo stretto necessario. Quella lettera però ruppe gli argini del conformismo e della timidezza. Prese la nave, e una sera del mese successivo scese dal treno alla stazione di Neuquén, piccolo centro nella Patagonia del nord, vicino alla cordigliera andina che separa l’Argentina dal Cile. A gesti, con il mittente della lettera bene in vista, arrivò alla locanda del paese costruita interamente in legno, come la stalla adiacente dove erano “posteggiati” almeno una mezza dozzina di cavalli. Il brusìo degli avventori sparì al suo ingresso e non ci mise molto a trovare l’angolo dove stava seduta la ragione di quell’incredibile viaggio. “Ho ricevuto la lettera” disse con un filo di voce al ragazzo che, ignaro, le voltava le spalle. Quello si girò restando seduto e con la fronte andò ad appoggiarsi sul cuoio della borsa che le ciondolava sulla pancia. “Ho cercato di vivere senza di te, di convincermi che potevo vivere senza di te…”poi le parole le si bloccarono in gola e non riuscì ad aggiungere altro. Si abbracciarono fra l’esultanza dei presenti, applausi e qualche fischio. Cominciò così un’esperienza indimenticabile ai confini del mondo che, come tutte le grandi storie, poteva essere interrotta solo da cause di forza maggiore. Un paio di anni dopo un puma a caccia notturna portò lo scompiglio fra i manzi della mandria curata dal ragazzo. Qualcosa gli fece perdere l’equilibrio e cadde malamente da cavallo. Per mesi cercò di parlargli mentre lo accudiva in tutto ciò che l’infermità richiedeva, ma lui non poteva risponderle, né farle capire che la sentiva, che capiva. Quando al silenzio si aggiunse il freddo del corpo inerme, riportò l’amato sul luogo dove era caduto e la sera successiva, avvolta in un grande scialle nero, decise di tornare alla stazione, sola come era arrivata e come avrebbe poi passato gran parte della sua vita. Tante estati più in avanti, quando dopo cena ci si riuniva a chiacchierare nel giardino di casa e il discorso cadeva sulla storia della zia Serafina, il nonno si alzava e partiva con il suo “lupo” per la passeggiata notturna. Gli uomini, una volta,non erano tali solo per la determinazione messa nell’affrontare le avversità della vita o i potenti di turno, ma anche per il silenzio che sapevano imporsi di fronte al dolore proprio e degli altri.
Carlo Curti
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