17 manifestanti sono stati uccisi lunedì 4 aprile a Taez, nel sud dello Yemen, durante una manifestazione contro il regime del presidente Ali Abdallah Saleh. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno tolto il loro sostegno al governo yemenita.
Le vittime sono state uccise dalle forze dell’ordine e da cecchini civili che sparavano dai tetti degli edifici. I feriti sono centinaia, come ha confermato una fonte medica.
La rivolta che da settimane attraversa lo Yemen preoccupa le monarchie del Golfo, che hanno offerto la loro opera di mediazione.
In un comunicato in occasione di un summit straordinario a Riyad, in Arabia Saudita, i ministri degli affari esteri dei paesi del Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) hanno espresso la loro preoccupazione di fronte al deterioramento della situazione sul piano della sicurezza e sullo stato di divisione che prevale in Yemen.
I ministri hanno fatto appello alle parti in causa affinchè prevalga l’interesse nazionale e le hanno esortate al dialogo per trovare un accordo sulle riforme.
Gli Stati Uniti hanno sempre avuto nel governo dello Yemen un alleato prezioso. Il regime di Sana’a era istruito per arginare l’avanzata di al Qaeda verso i paesi del Golfo, ma questa alleanza pare ora venire meno.
Il governo di Washington fa pressione sul presidente Saleh affinchè annunci le dimissioni immediate.
Nella sua edizione odierna Il New York Times scrive che la Casa Bianca ritiene che Saleh non farà le necessarie riforme e la sua partenza deve essere incoraggiata.
Secondo fonti vicine a Obama, il presidente americano aveva trasmesso al suo omologo yemenita un ultimatum già settimana scorsa, presentandogli due opzioni: l’accettazione di un piano negoziato dall’ambasciatore americano a Sanaa per gestire una pacifica transizione dei poteri oppure la richiesta ufficiale degli Stati Uniti di lasciare il potere. Con tutte le conseguenze del caso qualora da Saleh arrivasse un rifiuto.
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