di Gionata Genazzi, candidato al Gran Consiglio per il Partito Comunista
Dato il mondo sempre più digitalizzato, e nel quale concetti estremamente innovativi come l’“intelligenza artificiale” e la “robotica” si affermano con forza, fornire i futuri cittadini di queste conoscenze diventa necessario. Per fare degli esempi: chi di noi saprebbe spiegare quali passaggi deve compiere un’immagine per essere inviata dal nostro cellullare a quello di un altro utente dall’altra parte del globo? Chi di noi comprende in dettaglio il modo in cui viene garantita la sicurezza nel web e conosce gli enti (reali, non virtuali!) che la garantiscono? Dove finiscono fisicamente, ed in che forma, i nostri documenti privati nel momento in cui li trasferiamo ad un servizio cloud come Dropbox? Come può un computer imparare (!) a riconoscere la nostra faccia in mezzo a quelle di migliaia di altre persone? Come può un’auto guidare autonomamente? Credo purtroppo che solo una ristrettissima cerchia di persone sia oggi in grado anche solo di abbozzare una risposta a tali domande.
La questione è critica, perché stiamo parlando di tecnologie che pervadono le nostre vite in ogni momento. Tanto più critica, perché queste tecnologie possono essere usate anche per influenzare la popolazione riguardo a questioni politiche e sociali, si veda per esempio lo scandalo “Cambridge analytica”, e portano con sé problemi etici e morali, si vedano le questioni della privacy e dei dispositivi dotati di intelligenza artificiale.
Non deve essere un modo per mettere la scuola al servizio del mondo del lavoro. Si tratta di qualcosa di molto più importante: di creare una società dove ogni individuo sia dotato degli strumenti per comprendere queste tecnologie e partecipare all’orientamento del loro sviluppo ed al loro controllo. Il rischio è quello che, se mancassimo questo passo, il tutto potrebbe ritrovarsi nelle mani di un’élite ristretta, mentre la gran parte della popolazione sarebbe relegata ad un mero utilizzo incosciente, persuasa che la tecnologia sia una grande magia impossibile da governare. L’informatica a scuola non deve essere quindi concepita come un addestramento a favore di un utilizzo e di una produttività pressoché immediati, ma deve essere una vera e propria disciplina scientifico-culturale (e in questo senso sarebbe più corretto riferirsi ad essa con il termine “Computer science”) atta a comprendere il funzionamento delle tecnologie computazionali che giornalmente utilizziamo, e a renderci coscienti (come società) che esse sono sotto il nostro controllo; vogliamo dei cittadini capaci di orientare lo sviluppo della tecnologia e di controllarla, non dei semplici utilizzatori succubi ad essa!
Ma come si pone il nuovo programma liceale? Esso va nella direzione auspicata? Bisogna dire che, mentre alcuni obiettivi del programma sono interessanti, altri sono purtroppo invece poco condivisibili, come “essere capaci di mettere le proprie conoscenze informatiche in pratica nell’ambito di un progetto” e “valutare la pertinenza, l’efficacia e la sicurezza di soluzioni informatiche”. Questi ultimi sono infatti orientati in maniera troppo forte al mondo del lavoro e ad una specializzazione professionale che niente deve avere a che fare con la formazione liceale.
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