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Il progresso del mondo ci conduce alla fine della Storia

L’attualità di Huntington sulle differenze culturali

di Tito Tettamanti

Nel 1993 Samuel P. Huntington, autorevole intellettuale statunitense, pubblica sul Foreign Affaires un articolo che per le tesi esposte a proposito dei rapporti tra civiltà suscita un enorme interesse. Un altro intellettuale americano, Francis Fukuyama, nel 1989, pubblica pure un articolo divenuto poi un libro edito nel 1992 daltitolo «La fine della storia e l’ultimo uomo».

foto Wiki commons (WEF, Peter Lauth) – https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/deed.en

Il progresso del mondo, secondo l’autore, ha permesso di arrivare alla fine della Storia, rappresentata dall’adozione generale dei principi e delle forme della democrazia. Non avranno più ragione d’essere i pesanti conflitti ideologici del passato. Tutti ne eravamo allora lieti e convinti. Huntington ci rende però attenti con il suo libro «The Clash of Civilizations» che le ben elaborate tesi di Fukuyama portano ad una conclusione errata. Per lui le distinzioni di fondo tra popoli non sono di natura ideologica e neppure economica ma erano e restano di natura culturale.

I popoli si identificano nelle loro tradizioni, per discendenza, linguaggio, religioni, costumi. Ognuno ha nel proprio DNA i millenni passati, con le luci e ovviamente le ombre che la luce crea. Non a caso nelle discussioni che si hanno in Cina ci viene regolarmente ricordato che la loro è una civiltà vecchia di 4.000 anni. La concretezza di Huntington si appoggia sulla realtà dei fatti, su un mondo fatto da esseri umani che hanno addomesticato ma non annullato la loro ferocia, sulla costante dello scontro di interessi, e mette in rilievo l’utopia, pur rispettabile e apprezzabile, di tutti coloro che si illudono di poter cambiare a piacimento il mondo per averne uno migliore. Si obietterà che tali tesi dimenticano le altisonanti decisioni dell’ONU sui diritti dell’uomo, sui diritti civili, sulla promozione di una società democratica.

Mi permetto di ricordare che tra i Paesi membri dell’ONU impegnati a sostenere tali decisioni alla lettera A ho trovato Afghanistan, Albania, Algeria, Angola, Arabia Saudita, Azerbaijan, per la lettera C menziono Cina e Corea del Nord. No comment…

Le riflessioni di Huntington si sono rivelate profetiche ed i fatti le sostengono. Di conseguenza perdono ragione d’essere tutte le teorie economiche sui conflitti e la stessa lotta di classe illustrata dal marxismo, sconfitto non solo sul piano dell’applicazione comunista con disastrose conseguenze, ma anche, e ciò è ancor peggio, sul piano teorico. Parimenti indifendibile il confuso meticciamento multiculturale, utilizzato per convenienza pratica, ma sostanzialmente inattuabile su scala mondiale.

Nasce addirittura il sospetto che per taluni non si tratti che di una manovra per realizzare una colonizzazione pseudo euro culturale. Huntington con le sue considerazioni invita anche noi europei a riflettere. Quando – scrive – una civiltà non ha più la volontà di difendersi, e aggiungo io, e non è più orgogliosa dei suoi successi e dei suoi risultati, pur assumendone le responsabilità, non sa far altro che scusarsi e vergognarsi è al termine del suo ciclo. Affermazioni che fanno riflettere anche su molti atteggiamenti dell’UE. Le considerazioni che si leggono nel «The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order» sono il più pesante ed umiliante giudizio sulla politica estera degli ultimi decenni degli USA, l’anticipazione profetica del disastro afghano.

Dimentichiamo pure l’industria di guerra e degli armamenti USA, con le sue potenti lobbies che hanno incassato buona parte delle migliaia di miliardi di dollari spesi in vent’anni, dimentichiamo una disfatta degli ultimi giorni che può essere stata causata solo da false informazioni date da chi era sul terreno o da errati giudizi di chi doveva decidere, errori di tale macroscopica dimensione che portano a chiedersi come funzioni il potere negli USA, e ciò deve preoccupare anche gli europei.

Il determinante errore di fondo è più grave, è l’illusione dei Governi USA che con qualche soldato e un po’ di dollari si possa esportare la democrazia (addirittura fin nelle montagne afghane). Errore che da un lato tradisce una mentalità che definirei «colonialista ». La democrazia alla quale il mondo occidentale per nulla deve rinunciare, non è però un prodotto d’esportazione che si può imporre con atteggiamenti da monopolista. Errore ancor più grave, tale atteggiamento declassa le altre culture qualunque esse siano, gli aspetti ed i costumi delle stesse che anche se per noi inaccettabili non possono venir ignorati. Il famoso tanto conclamato ed oggi diffuso multiculturalismo in questa accezione non è che folclore. Evitiamo di aspirare a civiltà costruite nei salotti e da cattedre universitarie che si autogratificano. La realtà è costituita da numerose e spesso conflittuali civiltà, con mentalità, giudizi e interessi divergenti radice di possibili scontri. I rapporti nel mondo restano già sufficientemente difficili e delicati, senza che l’ignoranza, l’arroganza e l’ingenuità li rendano più difficili. Non possiamo esimerci dal criticare violazioni di diritti per noi fondamentali ma evitiamo le guerre perse o combattute a metà, come pure di promettere primavere irrealizzabili.

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

Relatore

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