La notte del 28 maggio fu celebrata nella basilica di Santa Sofia l’ultima messa cristiana, cui assistettero sia i greci che i latini. I Bizantini, disperati, si abbandonarono alle lacrime. Fecero sfilare in processione l’immagine della Vergine, sperando invano che Ella li avrebbe salvati dalla capitolazione. Le mura delle città erano ormai in cattivo stato per i continui cannoneggiamenti, e il basileus, per pagare le sue truppe, fu costretto a spogliare le chiese della città.

Il giorno dopo i Turchi concentrarono gli attacchi verso la Porta d’Oro – nel settore più vulnerabile delle mura, il Mesoteichion – che fu presa d’assalto tre volte. Attorno all’una di notte fu mandata all’attacco la prima schiera di Ottomani, composta dalla bassa fanteria. Maometto scagliò infine al mattino l’attacco decisivo inviando le truppe d’élite più temibili dell’Impero: i giannizzeri. L’imperatore Costantino tentò di guidare un contrattacco, ma scomparve nella mischia: secondo la maggior parte delle fonti morì combattendo valorosamente e uccidendo 800 turchi.

La popolazione fu decimata dai vincitori. Le principesse della famiglia imperiale riuscirono a fuggire a bordo di una nave e si rifugiarono in Occidente. La basilica di Santa Sofia, chiesa madre di tutta la chiesa ortodossa, era destinata a divenire una moschea.

Quel 29 maggio in Santa Sofia preti stavano celebrando la messa mattutina. Quando sentirono gli ottomani arrivare, essi sbarrarono la grande porta di bronzo, ma gli ottomani la fracassarono a colpi d’ascia: i preti furono uccisi mentre celebravano la messa, e sgozzati anche sopra l’altare.

I saccheggi durarono un giorno soltanto, poiché Mehmet II  comprese che se avesse lasciato la città in mano alle truppe per tre giorni (come aveva promesso) Costantinopoli sarebbe stata rasa al suolo.