Pubblicato nel CdT di martedì 21 ottobre e riproposto con il consenso dell’Autore

SoldatiIl prossimo 30 novembre saremo chiamati a votare l’iniziativa popolare che vorrebbe tra l’altro obbligare la Banca nazionale (BNS) a detenere una quantità minima di oro per conservare al franco svizzero una reale consistenza. Una qualità oramai definitivamente persa da dollaro e euro (40 anni fa la moneta statunitense valeva 4,30 franchi, adesso 93 centesimi, e sarebbero 60-70 se la nostra BNS non ci avesse legati all’euro, che a sua volta 15 anni fa valeva 1,60 franchi e adesso 1,20, ma sarebbero 90-95 centesimi per lo stesso motivo), monete, dicevo, fatiscenti per non dire «fraudolente».

Il motivo primo di questo degrado delle monete della potenza egemone e del coacervo di Stati europei va ricercato nella decisione di Richard Nixon (il presidente USA più intelligente che io ricordi, ma di struttura etica alcaponiana o alcaponesca che dir si debba) del 15 agosto l975 di non più ossequiare gli accordi della Conferenza di Bretton Woods del luglio 1944 (dollaro moneta di riferimento, 35 dollari per un’oncia di oro, per le altre monete valori in dollari prestabiliti, con minime possibilità concesse di variazione, 4,30 franchi per 1 dollaro). Misfatto completato poi da Bill Clinton con l’abolizione del New Deal del 1933 di F. D. Roosevelt, una legge che poneva stretti limiti alle malversazioni del finanzcapitalismo nascente e imponeva alle banche di speculare con i loro soldi e non con quelli dei loro clienti.

La seconda spiegazione sta nella decisione delle banche centrali USA e UE di praticamente annullare i tassi di interesse concessi ai capitali depositati dalle banche o richiesti per i prestiti alle stesse, cosa che costituisce un furto qualificato ai danni di tutti i risparmiatori, ricchi o poveri che siano. In particolare a scapito dei sistemi pensionistici, che sono la forma di risparmio più consistente del pianeta. Terza ragione, la decisione delle stesse due banche centrali di stampare moneta all’infinito pur di salvarsi dalla bancarotta oramai in atto per un eccessivo e non più abbattibile indebitamento.

La decisione della nostra banca centrale di legarci all’euro ad un tasso minimo fisso di 1,20 franchi ci ha anche legati alla sorte catastrofica (Devoto e Oli: «Che trascina nel disastro») di dollaro e euro, obbligando anche noi a inondare il mondo con la nostra valuta. Con quella decisione, motivata dal desiderio di facilitare la vita alla nostra industria di esportazione, la BNS ha pugnalato alla schiena il franco svizzero, stampato da allora come se fosse carta straccia, e riempito i suoi forzieri di centinaia di miliardi di euro che stanno in piedi solo nel confronto con il dollaro, a sua volta malfermo sulle gambe.

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A partire dal 2 maggio 2000 la BNS ha inoltre venduto 1.550 delle 2.590 tonnellate di sue riserve auree. Ne ha ricavato pochi miliardi di franchi che originariamente avrebbero dovuto andare ad un fondo di «beneficenza», ideato e proposto dal consigliere federale di benemerita memoria Arnold Koller, che credeva di potersi così sottrarre alla pressione del Congresso ebraico mondiale. Quest’ultimo reclamava, con l’appoggio di uno squilibrato ma influente senatore statunitense di cui non voglio neppure ricordare l’amato nome, la restituzione dei presunti miliardi sottratti dalle banche svizzere alle vittime dell’Olocausto (la montagna di miliardi ricercata risultò poi, dopo accurata e costosissima inchiesta di centinaia di specialisti guidati da Paul Volcker, essere un topolino da 185 milioni). La creazione del fondo fu respinta dal Parlamento con il voto di un controprogetto, a sua volta poi affossato, assieme all’iniziativa sull’oro, nella votazione popolare del 22 settembre 2002.

I miliardi ricavati dalla vendita dell’oro furono distribuiti in parte ai Cantoni. Sul Ticino piovve una manna di 557 milioni di franchi, fortunatamente (la sinistra voleva spenderli subito per favorire il «progresso» di cui crede di detenere il monopolio) adoperati in buona parte, anche grazie alla consigliera di Stato che avevamo allora alle finanze, per diminuire il debito pubblico cantonale (fu fatto un ammortamento straordinario). La vendita si fece con tutti gli opportuni accorgimenti per non influenzare al ribasso un mercato sorpreso da quell’inondazione di aurea abbondanza: una tonnellata al giorno. Avesse, la BNS, aspettato tre anni a vendere, avrebbe ricavato circa 50 miliardi in più. Di che sanare tutti i bilanci cantonali e migliorare quello federale. E se non avesse mai venduto, il franco svizzero sarebbe ben più solido di quello che è, e i risparmi di tutti noi, ricchi o poveri, avrebbero più valore reale di quel che hanno. Invece no, in tutta fretta si vendettero altre 250 tonnellate, tanto le riserve auree erano considerate superflue in un momento in cui si credeva di potersi appoggiare ad un euro creduto roccioso e granitico (già allora però dai tedeschi soprannominato «teuro», da «teuer», in tedesco «caro, costoso», perché aveva pesantemente aumentato il costo della vita in tutti i Paesi che l’hanno adottato). La decisione di vendere non fu certo avveduta, ma nessuno fu chiamato a risponderne, nemmeno moralmente. Senno di poi, mi si potrebbe obiettare. No, rispondo, senno di sempre, perché è storicamente dimostrato, già dai tempi antichi, che l’oro è uno dei valori più solidi, se non il più solido, che esistano. Per il semplice motivo che la richiesta è sempre stata superiore all’offerta, in periodi di agiatezza come in quelli di crisi, e non si intravvede cosa potrebbe capovolgere questo dato di fatto.

Il «battage» propagandistico avverso all’iniziativa è già cominciato (il Consiglio federale è sceso in campo il 7 ottobre), frastornante (letteralmente, ancora dal Devoto-Oli: «Che distoglie da un punto centrale d’interesse»), da parte delle cerchie interessate, in primis i dirigenti della BNS, che vogliono naturalmente preservare, oltre alla propria immunità, indipendenza totale dalla politica e poteri decisionali assoluti. Vedremo se anche questa volta il popolo sovrano, che dal 6 dicembre 1992 ha dovuto intervenire a più riprese per correggere la rotta voluta da Governo e Parlamento, rifiuterà il 30 novembre di ascoltare il canto delle sirene.

Gianfranco Soldati