In queste settimane, si stanno raccogliendo le firme per l’iniziativa popolare costituzionale contro la dissimulazione del volto nei luoghi pubblici, lanciata da un comitato il cui primo promotore, nonché ideatore, è Giorgio Ghiringhelli. È un tema che tocca indubbiamente corde sensibili e che coinvolge anche valori del nostro vivere comune.

Di primo acchito, il fatto di dover ricorrere a forme di limitazione per salvaguardare alcuni principi può suscitare qualche perplessità, ma, in una società aperta e di riconosciute libertà individuali come la nostra, la persona è e deve restare l’elemento centrale della vita pubblica. Dissimulare la sua identità, magari con la forza, impedire il suo riconoscimento, coprendole il viso, sono dimostrazioni di profonda chiusura che non possono essere tollerate. Per motivi di sicurezza, certamente, ma anche perché questo agire lede dei principi fondamentali. Garantire la sicurezza e la dignità della persona è un dovere verso tutti i cittadini.

Non è accettabile che possa essere cancellata l’identità di un individuo e non si può tollerare l’intollerabile! I casi di donne che indossano – volontariamente o coercitivamente- teli che coprono totalmente (burqa) o quasi (niqab) il volto da noi sono finora pochi, ma non possiamo misconoscere quanto si sta delineando in prospettiva, con la presenza –piaccia o meno- di importanti flussi migratori e con la necessità di prevenire situazioni a rischio. Basta osservare cosa sta succedendo in paesi a noi vicini per rendersene conto. Diversi commentatori e l’establishment politico snobbano spesso e volentieri il tutto, dicendo che “non è un problema per il nostro paese, perché le persone coinvolte sono poche”.

Pensiamo davvero di essere immuni da certi fenomeni, o dobbiamo semplicemente aspettare che il problema diventi acuto? Facendo una rapida e sommaria carrellata storica, se il numero dei casi, e non i principi, fosse stato alla base della nostra democrazia liberale , forse non godremmo di quelle libertà fondamentali di cui siamo giustamente fieri. Va comunque osservato che, già solo per motivi di sicurezza, le disposizioni contenute nell’iniziativa potrebbero essere accettate, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. Ci mancherebbe!

A scanso di equivoci, è bene anche ribadire come burqa e niqab non siano simboli religiosi e non siano imposti dal Corano, per cui l’iniziativa non lede in alcun modo la libertà religiosa- che nessuno si sogna di toccare- e dunque il tema va deconfessionalizzato.
Vero è, invece, che questo mesto e avvilente abbigliamento è spesso imposto in quei paesi (prevalentemente islamici) e in quelle aree dove non esiste differenza fra ambito religioso e ambito civile, dove sussistono fondamentalismi e integralismi religiosi oppressivi contro le persone (in particolare le donne) e diffuse costrizioni della libertà individuale.

L’obiettivo dell’iniziativa è volto anche a preservare certi principi del nostro vivere comune, sostenendo un’integrazione che accetti e rispetti questi principi di libertà. A meno che, in nome del fallito multiculturalismo (inteso come semplice giustapposizione di culture diverse), non si voglia arrivare ad accettare modi e comportamenti che cozzano profondamente con la nostra cultura e i nostri valori. Qui, il pensiero va, per esempio, a quanto accaduto in Inghilterra, dove, nella seconda metà degli anni ’90, è stata addirittura introdotta una giustizia parallela, attraverso l’istituzione di tribunali che si richiamano alla “sharìa” nelle cause civili.

Diciamola tutta. Il dibattito sul telo coprente (che sarà mai un brandello di stoffa?) assume una valenza di una certa importanza e scalda gli animi, perché lascia intravvedere anche delle scelte di campo nel tipo di integrazione e di società che vogliamo difendere. Altro che problema inesistente! Diamo quindi un sostegno a questa iniziativa, permettendo ai cittadini di esprimere la loro posizione.

Iris Canonica
del Comitato per l’iniziativa popolare antiburqa