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Il giornalista israeliano Michel Warschawski commenta sul sito Politis.fr le reazioni di Israele di fronte alle rivolte che hanno interessato numerosi paesi arabi in questi ultimi mesi.

“In Israele, quella che viene chiamata la Primavera araba è percepita piuttosto come un autunno carico di temporali e di tempeste – scrive Warschawski – All’inizio, al tempo delle manifestazioni di Piazza Tahrir al Cairo eravamo più che altro indifferenti, ma poi questa indifferenza ha lasciato il posto ad un altro, strano sentimento: il fastidio di non essere più al centro dei discorsi e delle preoccupazioni della gioventù araba, tutta concentrata sulla rivolta contro il proprio governo.
In Israele c’è l’abitudine di essere al centro degli eventi, preferibilmente in qualità di vittime. Essere attaccati o perlomeno essere insultati per noi israeliani è buona cosa perchè sappiamo come reagire, come comportarci. Invece essere ignorati è umiliante.

Poi, al posto del fastidio è subentrata una certa inquietudine : A seguito delle rivolte nei paesi arabi lo Stato d’Israele avrebbe perso il suo ruolo di protettore della civiltà cosiddetta giudeo-cristiana e il suo label di unica democrazia in Medio Oriente? O peggio ancora, gli Stati Uniti saranno obbligati a riconsiderare la loro politica regionale e riequilibrare la loro strategia ai danni di Israele?
Per il premier israeliano Benjamin Netanyahou e i neo conservatori la guerra globale e preventiva contro il terrorismo islamico è ben lontana dall’essere conclusa e i dirigenti statunitensi sbaglierebbero se credessero che la Primavera araba segna un punto di svolta. Se non lo capiscono da soli, Israele farà il necessario per chiarire il concetto, senza lesinare mezzi e modi, né contro i palestinesi, né contro il Libano (che avrebbe quintuplicato il numero dei suoi missili puntati sulle città del nord di Israele).

Un segno della grande paura degli israeliani è anche dato dalla violenza con cui le autorità hanno reagito alla commemorazione della Naqba (la creazione della Stato di Israele), domenica scorsa. Le manifestazioni da parte palestinese avevano preso in contropiede i servizi segreti di Tel Aviv, che attendevano scontri in Cisgiordania, mentre invece le manifestazioni si erano concentrate a Gerusalemme, nel Golan siriano occupato e nello stretto di Erez, a nord della Striscia di Gaza.
L’incubo che gravava su Israele dalla sua creazione si è realizzato : domenica, migliaia di rifugiati palestinesi si sono messi in marcia verso la frontiera per realizzare il loro “diritto al rientro in Patria”. Parallelamente, giovani palestinesi di Gerusalemme est hanno attaccato le squadre di polizia in diversi quartieri della città con una determinazione che non si vedeva da almeno una decina di anni.
A Gerusalemme la polizia è riuscita ad evitare un bagno di sangue ma nel Golan e a Erez i morti si sono contati a decine.

Mentre i generali si accusano l’un l’altro di non aver saputo preparare adeguatamente l’esercito per il giorno della Naqba, alcuni dirigenti laburisti hanno tirato un bilancio più politico.
Ad esempio il deputato Nahman Chay ha spiegato che la caduta di Hosni Moubarak in Egitto e l’indebolimento del regime del presidente siriano Bachar al Assad rappresentanto per Israele un problema strategico. In poche settimane lo Stato ebraico ha perso due bastioni vitali per la sua sicurezza nella regione. Il governo di Netanyahou ritiene ovviamente che dietro alle rivolte in Egitto e in Siria vi sia il regime di Teheran.

Mancando di sicurezza dall’esterno, la classe politica israeliana cerca rinforzi nel contesto interno e all’unanimità ha lodato il “ruolo di moderatore” della polizia palestinese che domenica ha saputo tenere a bada i giovani della Cisgiordania.
Il governo ha ricompensato l’azione della polizia accettando di trasferire a Ramallah i soldi delle imposte palestinesi, che il ministro israeliano delle Finanze Youval Steinitz aveva sempre rifiutato di sbloccare.”