INIZIATIVA PARLAMENTARE GENERICA


Vi è un equivoco di fondo quando parlando di prestazioni, di servizi e di offerta pubblica, alla parola pubblica si associa direttamente e esclusivamente lo Stato come unico ente in grado di erogare tali prestazioni. Anche la scuola pubblica non sfugge a questa riduzione.

Sappiamo tutti che l’educazione pubblica è pubblica non perché è lo Stato ad offrirla ma è pubblica perché tutti vi possono accedere liberamente e senza esclusione, un bene pubblico appunto. Addirittura la scuola e l’istruzione non sono definite soltanto di interesse pubblico ma per i bambini e i ragazzi dai 4 ai 15 sono addirittura obbligatorie. Se quindi vi è un servizio che oltre che pubblico è obbligatorio usufruirne, non si capisce perché quando ad offrire lo stesso servizio sono anche enti privati (non statali) questi non sono ritenuti in modo adeguato utili, necessari e complementari all’offerta statale; e perché non possano godere anche finanziariamente delle stesse condizioni delle scuole statali.

Ci sono ormai da decenni esempi numerosi di notevole successo di educazione pubblica offerta armonicamente e complementare da scuole statali e scuole private. Grazie a questo modello, in cui l’offerta pubblica è riconosciuta e favorita senza discriminazione di mezzi finanziari sia alle scuole statali che a quelle private, i Paesi Scandinavi, la Finlandia, l’Olanda, molti Länder tedeschi e persino la Spagna sono all’avanguardia per i risultati nell’educazione, e per la soddisfazione di allievi e genitori.

La votazione popolare del 2001 in materia di offrire un aiuto alle famiglie che sceglievano la scuola privata, ha dato un verdetto democratico inequivocabile. Purtroppo chi ha massicciamente vinto quella votazione, a 12 anni di distanza, non è ancora riuscito a trasformare quell’enorme successo in fatti, in misure, in provvedimenti che migliorino la scuola statale dell’obbligo. La quale più o meno rimane con gli stessi problemi e le non soluzioni di allora, ed addirittura le si prospetta prossimamente una riduzione di alcune decine di milioni di franchi di budget.

Quella votazione ha sancito che il popolo non vuole aiutare né direttamente (con sussidi alle scuole private) né indirettamente (tickets alle famiglie che le scelgono) una componente importante che eroga educazione pubblica. Oggi sappiamo, grazie agli anni trascorsi (12 anni) che l’offerta pubblica da parte delle scuole private sebbene con fatica continua a sopravvivere comunque, ma soprattutto sappiamo che le scuole private, le famiglie che le scelgono e i benefattori che le sostengono fanno risparmiare allo Stato dai 40 ai 52 milioni di franchi all’anno (da 480 a 620 milioni in 12 anni).

Oggi in Svizzera sappiamo pure che nemmeno il settore storico della salute pubblica non discrimina più finanziariamente la sua offerta a seconda che si tratti di un erogatore statale o privato; nessuno sostiene più che un ospedale privato non faccia servizio pubblico e nessuno contesta che lo stato fissi delle prestazioni di base valide e egualitarie sia per gli ospedali privati che per quelli statali.

Quindi, di fronte ad una scuola statale sempre più in difficoltà, considerato l’importante servizio pubblico offerto dalle scuole private e le loro esperienze innovative e di successo, tenuto conto che l’ideologica battaglia tra scuola statale e privata per le nuove generazioni di genitori non significa più nulla, di fronte a chi vuole un libero accesso ad un’educazione di qualità indipendentemente da chi la eroga, è giunto il momento di progettare un’offerta pubblica di scuola favorendo il più possibile la complementarietà tra le realtà statali e private che offrono garanzia di serietà e di qualità. E’ giunto il momento di aiutare seriamente sia quella statale che di inserire e riconoscere adeguatamente a tutti gli effetti, non solo pro forma, quella privata nel concetto di scuola pubblica per tutti.

Tenuto conto che non si può procedere né con l’aiuto finanziario diretto o indiretto alle scuole private (votazione del 2001), un primo passo per parificare di fatto e non solo de jure le scuole private a quelle statali, e per riconoscere loro appieno il ruolo di erogatrici di servizio pubblico per tutti; potrebbe essere quello di lavorare almeno sull’equità e la giustizia fiscale verso i genitori che scelgono le diverse scuole.

L’iniziativa chiede che sia studiata e proposta una soluzione in una delle seguenti direzioni per le famiglie che scelgono le scuole private:

a) le rette o una quota di esse pagate dalle famiglie alle scuole private possono essere direttamente deducibili fiscalmente dal loro reddito imponibile

b) subordinatamente che le rette o una quota di esse possano essere aggiunte alle attuali deduzioni per figli

c) subordinatamente che le rette possano essere deducibili fiscalmente considerandole liberalità donate ad enti di pubblica utilità permettendo il superamento della soglia percentuale massima di liberalità

Evidentemente trattandosi di una iniziativa generica, ogni altra proposta che va in questa direzione sarà apertamente e costruttivamente esaminata.

Riconoscere fiscalmente con deduzioni fiscali le rette pagate è un primo passo, seppur indiretto e modesto, per riconoscere l’apporto effettivo e qualitativo di educazione da parte delle scuole private al complesso dell’educazione pubblica, e per compensare parzialmente il costo di oltre 50 milioni annui che famiglie e benefattori dei 3’600 ragazzi si assumono scaricando lo Stato e quindi gli altri contribuenti di questo onere.
Non da ultimo, la deduzione serve per correggere in parte il doppio costo assunto dalle famiglie che scelgono le scuole private: le imposte per la scuola statale e le rette per quella privata.

Sergio Morisoli, Area Liberale