Emilia, Lombardia e Veneto sono le regioni più colpite dal Coronavirus. Ma come vivono, ai tempi della pandemia e dell’isolamento, le persone assunte nel pubblico impiego? Abbiamo intervistato persone rispettivamente dall’Emilia, dal Veneto e dalla Lombardia, quest’ultima, la regione con più contagi d’Italia.  

“Per poter passare da un comune all’altro, a noi dipendenti ospedalieri è stato rilasciato un certificato dove si attesta appunto che siamo dipendenti dell’Azienda e che, quindi, possiamo tranquillamente entrare e uscire per poter coprire i turni di lavoro” A parlare è Adriana La Macchia, medico infermiere che lavora in terapia intensiva, all’Ospedale di Parma.

“La situazione all’Ospedale di Parma è abbastanza impegnativa” continua la dottoressa La Macchia, “è stato necessario liberare tutti i posti letto della rianimazione per poter mettere i pazienti affetti da polmonite da corona virus, ovvero quelli che hanno bisogno di essere ventilati, i pazienti più gravi, dunque. In altri reparti sono stati messi a disposizione dei posti letto per corona virus con sintomi meno gravi, comunque la situazione è impegnativa: tutto il personale (medico, infermieristico, OSS, tecnici da laboratori, tecnici radiologi), è coinvolto in questa situazione, con turni veramente massacranti.”

Necessità di nuovi allestimenti e, addirittura, di reclutamento di personale medico per via dell’emergenza sanitaria. Racconta infatti la dottoressa: “Nella parte sottostante del Pronto soccorso sono state allestite delle tende per ospitare e valutare i pazienti che arrivano con febbre e tosse: il protocollo prevede questo triage dove vengo inviati i pazienti con questi sintomi, ai quali viene fatto un tampone, una tac e viene stabilito dove inviarli”. A Parma, quindi, pur mancando il personale, non manca il materiale, così, conclude Adriana: “Per fortuna, qui il materiale non manca: dispositivi di protezione individuale e attrezzature non mancano. Anche se in modo serrato, si può lavorare bene, perché quello che serve c’è. Per poter coprire tutti i turni lavorativi degli infermieri, anche le persone che sono andate in pensione del 2019, sono state chiamate a casa e, se erano ancora iscritte all’albo, è stato chiesto loro se erano disposti a rientrare. Siccome hanno chiuso le attività ambulatoriali, hanno reclutato anche gli infermieri ambulatoriali, per poter coprire i turni di lavoro”.

L’emergenza sanitaria ha cambiato lo stile di vita non solo del personale medico, ma anche di docenti e studenti. Racconta così il Professor Paolo Fabbri, molto attivo anche nella Festa Internazionale della Storia: “In effetti stiamo vivendo un’esperienza incredibile fino a pochi giorni fa. Mi telefonano amici e colleghi da ogni parte d’Europa, anche dalla Svizzera, dove ho vissuto 10 anni. Abitando fuori città, ho la possibilità di fare delle lunghe passeggiate. Quando si incontra un’altra persona si sta alla larga e, se si parla, lo si fa a distanza. Purtroppo ognuno può essere portatore di contagio… Stamattina sono andato all’ufficio postale: ero l’unico cliente. La sera poi tutto è deserto: sembra il coprifuoco. Le epidemie hanno purtroppo contribuito a fare la storia dell’umanità: pensiamo alla peste Antonina o a quella di Giustiniano. Nuove tesi attribuiscono proprio alle pestilenze e ad altre epidemie, come il vaiolo, la maggiore responsabilità  della caduta dell’Impero Romano. Le conseguenze delle epidemie sono sempre state drammatiche, a livello demografico, economico sociale, politico ecc. Speriamo che questa possa essere ben gestita a livello globale dalle diverse autorità di ciascun settore.”

Alice Q., studentessa di Scienze Politiche a Padova, dice “la situazione è drammatica perché siamo una delle province venete con più casi di corona virus. [In Veneto n.d.r] Non si esce di casa e si rispettano scrupolosamente le regole, nel rispetto verso noi stessi e verso il personale sanitario che sta lavorando senza sosta per salvare più vite possibili. I dcpm sono molto restrittivi, ma necessari, si tratta di misure che sarebbero dovute essere prese prima. Tuttavia ora è necessario impegnarsi e darci una mano e per debellare questo nemico invisibile!

Milano, Piazza Duomo deserta. Foto twitter da YesMilano – Turismo Milano

Anche Paolo Z., studente padovano di lingue a Cà Foscari, sostiene “il cambiamento dei ritmi della vita quotidiana si fa sentire, ero abituato a girare per varie aule studio e a fare il pendolare Padova-Venezia. Ormai sono due settimane che non vado all’università ma seguo lezioni online, il che lo trovo anche abbastanza comodo e pratico. La mia città, Padova è cambiata molto in questi giorni, già prima della quarantena totale le strade del centro erano semi deserte alla sera, con locali vuoti. Ora la sera, da casa mia non sento nemmeno un motorino, solo qualche treno che passa dalla stazione, la quale è abbastanza lontana da casa mia. Credo che questa immagine dia una chiara visione di quanto sia deserta la città, soprattutto dalla zona in cui abito, una delle più popolate della città. Mi ricordo due settimane fa, se non sbaglio era una domenica, nella quale fu dato l’annuncio che il coronavirus era in Veneto, precisamente a Vo Euganeo, sotto Padova, ero con un mio amico che ricevette una telefonata da suo padre, il quale gli diceva che il supermercato vicino a casa mia era stato preso d’assalto. Ci andai la sera, non era stato preso tutto, ma gli scaffali vuoti erano quelli della pasta, pane, riso e latte”.

In Lombardia, la regione più colpita, la situazione è grave. Giovanna Moleri, infermiera di Treviglio, ha lanciato una raccolta fondi per acquistare più macchine di respirazione artificiale per le persone contagiate da Covid19. E lancia un appello: “Gli ospedali stanno curando tutti, cerchiamo di tenere alto il morale tra noi operatori, i pazienti hanno solo noi in questo momento. Si improvvisano letti di terapia intensiva nelle sale operatorie, uniti ce la faremo. Ma voi state a casa“.

Jacopo R., studente di medicina, racconta “Essere uno studente di medicina, oggi, è una condizione di limbo: sai di cosa si sta parlando, puoi parlarne con cognizione di causa ma non sei sufficientemente formato per poter dare una mano. Vivo vicino a Milano, e sicuramente questo problema mi tocca più da vicino: studio al Sacco che è in prima linea per questa emergenza.  Ci è stata richiesta una mano per aiutare al numero verde della regione: spero di poter iniziare presto. Mi sento orgogliosamente lombardo, e voglio aiutare la mia terra. [Jacopo ha lanciato anche una raccolta fondi per aiutare l’Ospedale Sacco nella gestione del Covid19]. “La mia terra” continua Jacopo “che tanto mi ha dato, in questa situazione difficile.” Poi conclude: “Si, abbiamo paura. Sembra di stare in uno di quei giochini stupidi del cellulare, quelli che si scaricano gratis per avere compagnia sui mezzi: non ci sono più bit da uccidere però, ma persone. ce la faremo? non lo so. Ci proveremo? sicuramente. Ci impegneremo? come non mai.”

A.G., manager per le vendite in ambito internazionale di una multinazionale, sostiene “La situazione ha costretto al cambiamento e adattamento a modi diversi di interfacciarsi alla clientela, ora molto più virtualmente che fisicamente. Non proprio un’uscita ma almeno un’affacciarsi al di là della propria comfort zone in ambito professionale e il che non potrebbe rivelarsi malaccio…”

Bruno C., che lavora in una Ditta a Vignate, racconta “già normalmente ho una vita sociale abbastanza ritirata, lavorando con mio fratello in Ditta. Al massimo, durante la settimana uscivo il giovedì al tennis che adesso, ovviamente, è chiuso da quasi un mese. Sabato o in Emilia, o a cena fuori con amici, questo l’ho per forza eliminato. La mia vita ora consiste nell’uscire al mattino presto – sempre con la mascherina col filtro, che avevo la fortuna di avere perché dovevo usarla già per lavoro – poi a mezzogiorno vado al piccolo market sempre con la mascherina (che hanno anche i cassieri). Alcune persone sembrano “sbattersene” della gravità della situazione, parlando ravvicinati e senza mascherina, ma qui nei supermercati, fanno entrare al massimo due alla volta. Chiaramente è impossibile verificare se essi tengano il metro di distanza, ma c’è più controllo di qualche giorno fa. Non posso vedere i miei genitori, pur abitando a un paio di km. Stiamo cercando di lavorare, vediamo le persone con le protezioni (corrieri, persone che vengono in ufficio) e alla fine della giornata ci si chiude in casa.” Poi, però conclude “parlano di chiudere tutto” [B.C. è stato sentito dalla nostra redazione l’11 marzo]  “ma fin che chiudi  le attività che fanno assembramento è un discorso, se chiudi veramente tutto, comprese anche le aziende come la nostra, siamo finiti, è un problema. Qui non si tratta della Cina: la Cina ha bloccato 60 milioni di persone, ma sono un miliardo e mezzo continuano a lavorare e produrre. Da noi cosa fai?  Salvini, la Meloni e Tajani sostengono di “chiudere tutto”, ma da noi anche chiudere solo tutta la Lombardia sarebbe un problema, molto grosso, quindi staremo a vedere. Per adesso io sono d’accordo con il Governo e con Confindustria, per adesso. ”

Articolo a cura di C. Fantuzzi