Francesco Pontelli, economista – Il Patto Sociale – 2 agosto 2022

 Potrebbe essere molto interessante proporre un piccolo esempio di come possa esplodere la spesa pubblica ma senza generare alcun effetto positivo e tangibile per i cittadini.

L’inflazione, che segna un +8,5%, ha  aumentato  la base nominale imponibile sulla quale vengono calcolate le aliquote fiscali e anche  l’Iva. In un solo anno, lo Stato ha incassato oltre 40 miliardi in più di tasse proprio grazie all’aumento della base imponibile causata dall’inflazione (Fiscal Drag). Ora,  pur partendo da questa considerazione, all’interno del programma di Calenda /Azione/+Europa e di vari gruppi “liberali”  che con lui hanno dato vita ad una alleanza elettorale, si propone una tassa dello 0,1% da applicare ad ogni transazione finanziaria per arrivare,  nella disponibilità delle casse dello Stato, ad  altri 40 miliardi.

L’obiettivo “dichiarato” dovrebbe essere quello di ridurre, attraverso queste nuove risorse pubbliche, la tassazione alle  imprese  le quali, successivamente, dovrebbero così  venire incentivate all’assunzione di nuovo personale.

Una teoria economica e strategica assolutamente non liberale e tanto meno liberista, delle quali tutte queste forze politiche citate si definiscono limpide interpreti, in quanto non può essere la spesa pubblica a  finanziare i nuovi posti di lavoro. Quando, invece,solamente una riduzione strutturale della pressione fiscale, ed attraverso risorse già disponibili come quelle del fiscal drag con quaranta miliardi in dotazione, potrebbe creare le condizioni  ottimali con l’obiettivo di attrarre nuovi investimenti e contribuire cosi ad aumentare l’occupazione.

Tuttavia , al di là degli obiettivi da raggiungere con l’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche, ecco come in soli due passaggi lo Stato si ritroverebbe con ottanta (80) miliardi di risorse finanziare in più, e di conseguenza un aumento di oltre il 16 % del monte tasse totale pagate allo Stato nel 2021.

Contemporaneamente le medesime risorse finanziare (80 miliardi) risulterebbero sottratte al mercato nazionale come riduzione della capacità economica del ceto medio il quale sostiene, attraverso la domanda interna, la crescita del Pil.

In due  semplici scelte, governativa  e politica , viene spiegato perché, negli ultimi trent’anni, il nostro Paese abbia visto ridurre del -3,7% il reddito disponibile, unico in Europa, rispetto ad una crescita in Germania del +34,7% nello stesso periodo.

Mentre continua ad aumentare la spesa pubblica, finanziata attraverso nuova pressione fiscale, assolutamente improduttiva ed espressione di una dottrina economia feudale, si manifesta evidente l’entità delle risorse sottratte al mercato interno, alla domanda ed al ceto medio impoverendo un’intera generazione di italiani.