di Tito Tettamanti

Vi è ostilità tra due poteri istituzionali, due nazioni, quando uno di questi o entrambi hanno pretese nei confronti dell’altro che, se accettate, porterebbero pesanti conseguenze negative per la parte soccombente.

Le motivazioni delle richieste dell’UE nei confronti della Svizzera sono facilmente intuibili. Al centro dell’UE c’è un Paese che più europeo di così non si può ma che non vuole farne parte.

La Svizzera interessa molto all’UE. Paese poco indebitato, a differenza della maggior parte dei suoi membri, un’interessante aggiunta alle poche nazioni contribuenti, di fronte alle numerose pesantemente sussidiate, un’oasi per coloro che aspirano a lavorare in condizioni salariali e sociali invidiabili, infine un mercato molto importante. La collaborazione economica sarebbe risolvibile con un accordo tipo quello tra l’UE e il Canada (CETA) ma ciò è impossibile per il rifiuto di Bruxelles che pretende una soluzione nella quale vigono le leggi da lei emanate e in sostanza direttamente o indirettamente la giurisdizione del proprio tribunale.

Poi il tutto è accompagnato da contorcimenti lessicali con plurinterpretazioni e pseudo schermi ma il nocciolo è di obbligare la Svizzera a piegarsi. L’UE a tal fine mette in atto le sue ostilità. Dal 2018 l’UE ridicolmente nega l’equivalenza alla Svizzera vietando ad operatori europei di comprare e vendere titoli elvetici o esteri alla Borsa Zurigo. La Confederazione ha reagito con opposte misure. In conclusione, un autogol che non ha comportato perdite per la nostra Borsa. Ciò non importa al burocrate UE, non si sente impegnato a fare l’interesse delle economie degli Stati membri, ma ad imporre le proprie decisioni e regolamenti. L’UE ha poi escluso le università svizzere dal fondo di ricerca Horizon. Dal 2021 non si possono più dirigere progetti europei o ottenere borse di studio per la ricerca. L’esclusione di istituti accademici svizzeri che figurano ai primi posti nelle classifiche mondiali impoverisce Horizon. Ciò non impensierisce Bruxelles. Per i prodotti Biotech una ditta svizzera deve avere un EUREP (rappresentante) in uno Stato dell’UE. Può essere una filiale o un ufficio che esercita tali funzioni. Un voluto intralcio burocratico che crea costi per tutti, consumatori inclusi. Le ostilità sono spesso figlie dell’acredine piuttosto che dell’intelligenza.

Oltre a ciò l’UE batte cassa. I 2.6 miliardi di franchi versati negli ultimi 20 anni non bastano. L’UE esige un fisso annuale per l’accesso al mercato comune che è stato ipotizzato nell’ordine di 400 milioni di franchi. Da discutere, ma preoccupa meno una “taglia” che la rinuncia ai propri diritti.
Spesso si soccombe per debolezza del fronte interno. Da noi le multinazionali, società con sede in Svizzera ma con azionisti in maggioranza stranieri e dirigenti spesso pure stranieri, fanno i loro interessi, sono meno sensibili agli aspetti istituzionali, alla rinuncia di indipendenza. Da qui l’atteggiamento pro UE di Economiesuisse. Contraria e di resistenza la posizione di ditte radicate in Svizzera e di famiglie svizzere quali quelle riunite nella Autonomiesuisse.

Arrendevoli in maggioranza le strutture del Dipartimento degli Esteri e della burocrazia federale. I burocrati di tutto il mondo parlano la stessa lingua, aspirano ad entrare nelle stanze di Bruxelles dalla porta principale. I nostri accademici sono preoccupati di perdere finanziamenti per la ricerca, ma ancor di più di perdere l’occasione di pubblicazioni scientifiche (che influiscono sulla carriera).
Infine, vi sono gli idealisti che da sempre sognano un’Europa pacifica e unita. Convinzione rispettabilissima ma che ignora gli sviluppi intervenuti e idealizza l’insoddisfacente struttura odierna dell’UE dimenticando insuccessi, fratture e debolezze.

Una Svizzera mortificata e sostanzialmente obbligata ad accettare le leggi emanate da un’istituzione straniera, con l’interpretazione del diritto applicabile da parte di un Tribunale straniero.
Si considera che chi si oppone alle richieste UE sia condizionato da una visione mitizzata e superata della Confederazione.

Si potrebbe obiettare che i favorevoli all’Accordo ad ogni prezzo siano influenzati da esagerati timori per presunte perdite. Anni fa il presidente della Roche si preoccupava del fatto che senza l’Accordo istituzionale la sua ditta avrebbe avuto una perdita di 100 milioni di franchi. Con un fatturato annuo di oltre 60 miliardi e un utile nell’ordine di 13 miliardi di franchi 100 milioni non mi paiono un sacrificio eccessivo.

Infine, perché tanta fretta? Si può capire l’urgenza di una Commissione in scadenza tra pochi mesi. Ma a noi non converrebbe attendere la nuova Commissione, con la quale dovremo comunque convivere per quattro anni? Senza dimenticare le difficoltà e possibili cambiamenti in tre delle maggiori Nazioni europee: Germania, Francia e Spagna.

Dopo lo schiaffo all’UE con la votazione del 1992 i rapporti compromessi con le Nazioni europee sono stati abilmente ristabiliti, merito in particolare di Ogi e Cotti, due europeisti che con oggettività hanno saputo spiegare i sentimenti svizzeri. L’uno è riuscito a entrare in simpatia a Mitterrand, Kohl si recava a casa di Cotti a Locarno per gustare il risotto. Altri tempi!