L’ex presidente del Brasile, luiz Inacio Lula de Silva, ha un mandato d’arresto e 24 ore per costituirsi in carcere. Condannato per corruzione  a 12anni, entro oggi dovrebbe consegnarsi. Il leader della sinistra mondiale, tanto acclamato che – si era vociferato – lo si sarebbe voluto presidente dell’Onu, vedrà scadere la data per l’ultimo ricorso possibile alla sua condanna. Quel giorno, con molta probabilità, il giudice Sergio Moro decreterà il carcere per il suo imputato speciale.

Ha il 30% delle intenzioni di voto, ma dovrà ritirarsi dalla corsa elettorale, proprio lui che nel 2002 aveva stravinto le sue prime elezioni, sotto lo slogan “Luz, paz e amor.” I soldi, meglio lasciarli nell’anonimato.

Una vita turbolenta, da vero e proprio leader, e una fine da galeotto ladruncolo costituiscono una dicotomia triste e contrastante. Era stato incarcerato per 30 giorni, all’epoca della dittatura, ma era divenuto amico del suo carceriere, Romeu Tuma, che gli permetteva di dormire sul suo divano anziché in cella: in quella stessa cella, altri condannati, venivano torturati e uccisi.

Affabulatore amichevole, Lula era stato lanciato in politica dal generale Golbery do Couto, che ne aveva visto la propensione alla politica e all’ottima maschera dell’amorevolezza per vari traffici ascosti ai più.

Si dice non abbia avuto il coraggio di denunciare la corruzione latente a Brasilia, quando, con l’80% di consensi, li avrebbe potuti travolgere. Paura di essere lui stesso travolto? Ora è accaduto.

Nel frattempo il Brasile si divide, tra sostenitori del suo innocentismo, i lulisti, che vedono in questa condanna ina persecuzione politica e coloro che vedono invece la giusta punizione di un corrotto mascherato da filantropo.