… Per poi scomparire per sempre sotto le acque e le nebbie del lago di Avalon

Glastonbury è una cittadina nell’estremo ovest dell’Inghilterra, quasi ai confini col Galles, a nord della Cornovaglia, nel Somerset. La si raggiunge solo in bus, con il n.376 da Bristol, stazione ferroviaria di Temple Meads alla quale si arriva col treno da Londra Paddington. Durante il viaggio, di circa due ore, la brughiera dell’ovest scorre rapida e scarna sotto i vostri occhi, popolata da pecore belanti o assorte. Appena scesi, un vento inonda il visitatore ignaro che, sbalordito che una città così famosa sia così isolata, mira interdetto le case a schiera in mattoni rossi, che si susseguono ininterrottamente, piccole e uguali, coi loro creativi giardinetti in pietra antica, dalle cui crepe nascono interminabili rose inglesi.

Durante il viaggio, mirate il finestrino: dall’altura della montagna più alta che domina la città, scorgerete un’antica torre ergersi fiera e maestosa, e non poco tetra, dominante dall’alto la città. è il Thor, torre attualmente risalente al 1300, ma le cui fondamenta sono ben più antiche, ai cui piedi, almeno mille e seicento anni fa, doveva spandersi acqua paludosa, coperta da nebbie.

E’ per questo che, secondo la tradizione, proprio da quest’altura, che domina la sottostante campagna inglese, il condottiero romano-bretone, King Arthur, lanciò la sua spada Excalibur restituendola alla dama del lago, la quale la brandì tre volte, prima di scomparire per sempre, sotto le acque. Indi, trasportato morente verso la pianura sottostante da una barca sulla quale stavano sette donne  fatate, morì all’Abbazia di Glastonbury, ove fu sepolto.

Agli albori del XIII secolo, i monaci durante gli scavi di ricostruzione del loro monastero, incendiatosi per provvida sventura, rinvennero un feretro contenente due scheletri: quello maschile misurava ben due metri, quello femminile aveva ancora una lunga treccia bionda, che si dissolse al vento. Una croce ferrea all’interno portava un’iscrizione latina hic iacet Arturus, rex quoniam rexque futurus. Era la sepoltura di re Artù e della sua consorte Ginevra.

Il rinvenimento dei resti mortali del sovrano che aveva fatto la storia della Britannia post romana, fece immediatamente scaturire nei cuori di tutta Europa pellegrinaggi e devozione per il re e la regina della prima Inghilterra. L’abbazia venne così ricostruita, più grande, più bella: divenne seconda per dimensioni solo a Westminster, e nel Gotico inglese trionfò nel suo tripudio di bellezza. Nel 1086, ai tempi di Guglielmo il Conquistatore (normanno che si propose come erede latino di Artù contro, ancora una volta, i sassoni) essa divenne la più ricca del paese.

Nel 1278, in presenza dei sovrani Edoardo ed Eleonora, i resti di Artù e della sua consorte Ginevra vennero traslati dietro l’altare maggiore, in una cassa di marmo nero, con i dovuti onori tributati ai sovrani storici da parte degli attuali sovrani.

Poi, nel 1529 accadde qualcosa di terribile: re Enrico VIII ripudiò, di fatto inventando il divorzio, la sua consorte cattolica Caterina d’Aragona, per sposare Anna Boleyn. Creò così lo scisma anglicano, staccandosi di netto dal pontefice romano, ma non si fermò qui: ordinò la distruzione di ottocento monasteri, per ottenere denaro, fonderne le cupole e utilizzarne l’oro per finanziare le incursioni contro la Francia. Tra questi monasteri, figurò l’Abbazia di Glastonbury.

L’Abbazia fu sventrata, depredata, distrutta. La tomba di Re Artù e Ginevra fu persa, irrimediabilmente. Nel 1979 in Cornovaglia, vennero rinvenute ossa altrettanto lunghe, in un luogo tutt’oggi venerato, Saint Michel’s Mountain. Erano le ossa di Artù, trafugate e salvatesi alla distruzione di re Enrico? Non lo sappiamo con certezza, ma lo si può immaginare. La storia ha dubbi irrisolti.

Sul Thor, nel 1539 l’abate Richard Whiting, reso beato nel 1895, che aveva opposto resistenza al re, fu impiccato, squartato e tagliato a pezzi: ogni membro fu inviato nelle vicine Wells e Bath.

Ad oggi l’Abbazia resta un suggestivo complesso in rovina, memore della beltà che fu e che l’invidia e l’odio cieco dei protestanti distrussero. Ma il flusso dei pellegrini non si fermò mai. Ad oggi, fiori vengono gettati sul luogo dove un tempo era custodita la tomba dei sovrani; petali nell’involucro marmoreo in cui riposava Artù e ogni giorno centinaia di turisti, rendono omaggio al condottiero storico, realmente esistito, entrato nella leggenda come Re Artù e alla sua regina Ginevra. Poiché la storia divenne mito, poi il presente tentò di distruggerlo, ma il mito, in quanto tale, è tutt’oggi eterno.

Chantal Fantuzzi