La degradazione di Dreyfus, l’ufficiale ingiustamente accusato di alto tradimento dell’Esercito, calunniato di aver consegnato a un’imprecisata potenza straniera dispacci segreti, capro espiatorio perché ebreo, entrò nell’immaginario popolare europeo in maniera violenta, impetuosa, cinematografica. Anche se non si hanno foto di quell’evento del 5 gennaio 1894, anche se non si hanno riprese (per ovvie ragioni cronologiche). Bastarono le incisioni, non fu necessaria l’immaginazione. Polanski dà vita impetuosa a quelle incisioni che rappresentarono Dreyfus degradato: le medaglie strappate, il berretto stracciato, la spada spezzata. La sequenza iniziale irrompe nella scena senza preamboli, come apertura del caso che segnò il triste passaggio dalla Belle Epoque al secolo ventesimo, sulla scia rosso sangue del razzismo e dell’antisemitismo.

Il film è una ricostruzione pedissequa del caso Dreyfus: un ebreo calunniato in quanto tale, della coscienza di Picquart, che pagò con l’arresto, l’infamia e qualche anno di carcere l’essersi battuto per la giustizia e il porsi contro l’Esercito.

Polanski non delude, ma ci lascia senza il tocco che aveva contrassegnato altri suoi film di ambientazione storica, come per esempio, Oliver Twist (2006): a differenza del precedente capolavoro, qui manca il pathos, una musica trasportante, una scenografia densa e dinamica. Al contrario L’Ufficiale e La Spia è addirittura rilassante, talvolta noioso, in una narrazione scarna con l’accompagnamento musicale ridotto al minimo, per far risaltare il grido di un’umanità che si contorce nella propria autodistruzione. D’altronde, la scenografia non poteva esser diversa: la vicenda è cosa nota, che non necessita né ammette rimaneggiamenti. Polanski – ed è tutto quel che può fare – dà un tocco di vitalità con flashback per ricostruire l’antefatto della degradazione.

Acclamato come un capolavoro dai critici, fischiato dall’isteria del meetoo per spiacevoli vicende personali in cui Polanski sarebbe stato implicato molti anni fa (e ciò ci dimostra quanto erroneo sia confondere l’opera con l’autore), L’ufficiale e la spia si contraddistingue, a parer mio, per la perfetta e rigorosa ricostruzione storica, naturale, di fine ottocento. Perfetti sono i costumi, gli arredi, gli oggetti, i volti: egregi, proprio perché naturalissimi. Notevoli sono alcune scene che rimandano alla pittura dell’epoca: dalle incisioni, alle fotografie, all’impressionismo. Dalla sovracitata sequenza iniziale, alla citazione di colazione sull’erba di Manet (senza nudi, però, mi riferisco ai personaggi maschili), le citazioni dell’arte si intersecano alla perfezione in una ricostruzione epocale talmente precisa da non trascurare nemmeno la costruzione del lastricato in porfido, proprio (proprio) dell’epoca.

Notevole, la sequenza finale, in cui Picquart, ormai agli alti ranghi del Parlamento, premiato per la sua coscienza, ringrazia il riabilitato Dreyfus, pur non potendolo accontentare nella sua richiesta di restituzione del rango che gli spetterebbe.  “Non è me che dovete ringraziare” risponde Dreyfus al vero protagonista “siete voi che avete fatto solo il vostro dovere.” Parti invertite, in extremis, che ci possono insegnare molto, ancor oggi.

L’antisemitismo tuttavia non fu placato. Quel caso, terribile ma a lieto fine, fu solo l’inizio del periodo buio in cui sarebbe piombata l’Europa. pochi decenni dopo. Indissolubilmente legato al razzismo, si esplica nella sequenza in cui Zola (sì, ci sono tutti, anche Clemenceau) non esita a scrivere il celeberrimo J’Accuse su L’Aurore, ma il popolo (dato da non dimenticare) lo accoglie malissimo: i giornali vengono dati alle fiamme, al grido di “A morte l’ebreo, a morte Zola, l’italiano”. Due vetri, con la scritta Mort à les juifs. L’uno viene rotto per primo e, per un attimo, rimane solo il buio presagio d’Europa degli anni a venire “Mort”. 

Quanto costa contrapporsi all’Esercito? Quanto al Governo? (mostri sacri allora più di ora i cui capi, pochi anni dopo, trascinarono l’Europa nel massacro della Grande Guerra). Quanto difendere le minoranze etniche? Può costare caro, molto caro, ma il valore della coscienza e della giustizia è incommensurabilmente molto più alto.

Chantal Fantuzzi