Mercoledì scorso l’amministrazione di Barack Obama ha annunciato la decisione del presidente di congelare almeno sino al 2017 l’estensione delle zone di trivellamento in mare, a seguito dell’incidente della scorsa primavera nel Golfo del Messico.
La decisione proibisce lo sfruttamento di giacimenti di gas e petrolifero a est del Golfo del Messico e lungo la costa atlantica centrale e meridionale del paese.
Con questo annuncio l’amministrazione Obama effettua una drastica svolta rispetto a quanto era stato deciso il 31 marzo, tre settimane prima del disastro nel Golfo del Messico, quando aveva autorizzato lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in zone ancora inesplorate al largo della costa degli Stati Uniti, una scelta “difficile” che Obama aveva difeso spiegando la necessità di assicurare l’indipendenza energetica della nazione.

Soddisfazione è stata manifestata dal senatore democratico della Florida Bill Nelson, accanito oppositore delle trivellazioni in mare e da quello del New Jersey, Robert Menendez, mentre John Culberson, rappresentante repubblicano dello Stato del Texas ha detto che la decisione di Obama farà salire il costo dell’energia, rallenterà la ripresa economica e porterà posti di lavoro all’estero. Al disappunto di Culberson si sono associate le società petrolifere ExxonMobil e Chevron, “deluse per una decisione che è un passo nella direzione sbagliata.”

Nella zona del Golfo del Messico dove il 21 aprile era avvenuto il disastro della piattaforma petrolifera della British Petroleum le trivellazioni potranno invece proseguire. La zona conta decine di piattaforme petrolifere in piena attività. I permessi per le trivellazioni già concessi in questa zona saranno comunque sottoposti ad una rigorosa analisi ecologica.
L’amministrazione Obama ha anche assicurato che nell’Artico, al largo delle coste dell’Alaska dove la compagnia Shell ha chiesto il permesso di trivellare a grandi profondità, le operazioni verranno condotte con le precauzioni massime.