“…e dacchè un tale stato di cose …, a vece di provar miglioramento, è peggiorato a tal segno da minacciar le istituzioni di più generale e incontrastabile utilità, noi crediamo far opera di buoni e leali cittadini dicendo francamente al Popolo sovrano la verità intorno alla sua situazione, e la verità intorno al rimedio che, secondo l’intimo nostro convincimento, è il solo che possa arrecargli salute” (Stefano Franscini in “Semplici verità ai ticinesi sulle finanze ne su altri oggetti di ben pubblico”).

Peccato che invece di approfondire la portata reale del problema AET posto dalla Consigliera di Stato Laura Sadis, il dibattito politico di questi giorni si sia tutto incentrato sulla qualità del giudizio da attribuire alle sue esternazioni in merito all’operato dell’azienda. È certo che con il clima politico da tempo ormai venutosi a creare attorno a questo tema era indispensabile optare per la massima trasparenza. Errori anche gravi sono stati commessi in passato. In un momento storico caratterizzato dalla liberalizzazione del mercato elettrico, anche AET, come la gran parte delle aziende attive nel settore, ha scelto la via di investimenti all’estero per disporre di partecipazioni nei più svariati ambiti di produzione. Già il rapporto della commissione per il controllo del mandato pubblico, discusso in Gran Consiglio, si era mostrato assai critico sull’opportunità di diversi tra questi investimenti. Una strategia era allora stata elaborata e approvata dal Parlamento, comportando la diminuzione dei membri del CdA di AET, e l’impegno da parte dell’azienda di uscire dalle partecipazioni e dagli investimenti problematici. Questo non è però sufficiente.

La domanda fondamentale che dobbiamo porci è la seguente. Come mai tutto ciò ha potuto accadere? Qui sta la prima semplice verità: l’Azienda Elettrica Ticinese ha sempre potuto disporre della massima libertà di azione poiché mancava e manca tuttora una politica energetica chiara a livello cantonale che definisca anche il ruolo di AET. In mancanza di una direzione politica chiara da parte del Cantone, è l’azienda a scegliere cosa fare. E l’azienda tende a muoversi sul mercato in funzione dei propri interessi aziendali. Il problema è che AET è un’azienda cantonale, pubblica.

Non è normale che ogni qualvolta si presenti un dilemma legato a questioni energetiche l’interlocutore da interpellare sia solo l’azienda stessa. È la politica Cantonale a dover dettare le tendenze e le visioni, le strategie di fondo e gli obiettivi da perseguire a livello energetico. Solo dentro questo contesto deve poi definirsi il ruolo di AET, che in questo caso non sarà nemmeno più assillata da pressioni politiche esterne, che semmai devono manifestarsi a livello istituzionale. Ecco cosa dobbiamo imparare da ciò che sta accadendo.

Ora, assodato che è il Cantone a dover definire la politica energetica e il ruolo di AET, la domanda successiva è la seguente: è in grado il Cantone di definire e delimitare una politica energetica di fondo? E questa è la seconda semplice verità. Un Cantone con un Ufficio energia dotato di due sole unità, a fronte di un settore così importante per il Ticino (soprattutto se pensiamo all’immensa risorsa idroelettrica) non basta di certo a questo scopo. Il numero di funzionari ben più elevato che si occupano di questo ambito in altri Cantoni d’oltralpe ne è la prova. Si pensi che ad inizio legislatura questo Ufficio era ancora composto da una sola persona. Piuttosto togliamo risorse a qualche altro settore dell’amministrazione!

Occorre un Ufficio energia in grado di divenire un centro di competenza per il nostro Cantone nel settore energetico, in grado di supportare il politico nel suo ruolo di guida e di gestione e di inquadrare l’attività dell’azienda elettrica ticinese dentro i margini di una politica e di una visione che siano veramente il frutto di una ricerca seria e ponderata di consenso.

Il Piano Energetico Cantonale, frutto anch’esso di questa legislatura, non contiene ancora questa visione, ma rappresenta uno sforzo notevole di raccolta e sintesi di dati da cui si può certamente partire per giungere all’obiettivo di cui sopra.

Il Franscini, nelle sue conclusioni all’opera citata in entrata, esortava la politica ticinese alla conciliazione, ad un confronto costruttivo in grado di affrontare per davvero, e con coraggio, i nodi da risolvere. Egli commentava: “…una tale conciliazione è di così eminente importanza per la prosperità del Cantone, che non è punto a dubitare che uomini veramente patrioti, imponendo silenzio alla voce di loro personali risentimenti, la promoveranno con sincerità ed energia di sforzi”. V’è da sperare che anche oggi ogni dubbio in merito possa essere fugato.

Giacomo Garzoli, membro della Commissione energia del Gran Consiglio e candidato al Consiglio di Stato