Non è male ciò che finisce male.

Sembra che un nuovo fantasma si aggiri per l’Europa; l’instabilità. Tutti a fasciarsi la testa quando dalle tornate elettorali di qualsiasi paese della Comunità scaturiscono coalizioni problematiche, litigiose e dal fiato presumibilmente corto. Allora si dà fiato alle trombe: Stabilità a rischio, paese a un passo dal baratro, ordine pubblico in pericolo per possibili rigurgiti di antagonismo sociale e, puntuale come il cacio sui maccheroni, rischio di sommosse a sfondo eversivo. I giornali italiani di questi giorni si sono sbizzarriti a chi la faceva più nera per il macroscopico flop dei due schieramenti che si contendevano la direzione politica del paese dopo il ventennio del signore di Arcore. Chi investirà in un paese ancora più a rischio di prima? Saluteremo il treno della crescita economica ? Il futuro sarà con i derelitti del continente(Grecia, Portogallo e Spagna)?

È vero, alcuni investitori potrebbero tenersi lontani dall’Italia a causa dell’incertezza politica. Parliamo di chi investe con un’ottica di lungo periodo, di chi considera la finanza uno strumento al servizio dell’economia e delle persone. Il che avviene circa per l’1% dei soldi che girano nel mondo. Il 99% sono pura speculazione, cacciatori senza scrupoli che fiutano la preda, individuano l’esemplare debole e in difficoltà e lo attaccano. Una finanza fine a se stessa per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile.

Il problema non è che l’instabilità politica rischia di allontanare gli investimenti finanziari, ma il suo esatto contrario: li attrae. L’instabilità dei mercati non è un indesiderato effetto collaterale dello strapotere della finanza speculativa, è la base stessa del gioco. Più scommesse girano su un dato titolo, Paese o impresa, più i corrispondenti prezzi rischiano di impazzire. E se i prezzi impazziscono le possibilità di profitti a breve aumentano di pari passo. L’aumento delle oscillazioni e dell’instabilità attirerà nuovi speculatori. Più creo disastri più diventa interessante continuare a giocare, in una spirale senza fine.

Nessuno specula sui noiosissimi Bund tedeschi. Li compro a 100, e qualsiasi cosa succeda tra un anno varranno sempre 100, oltre a darmi un minuscolo tasso di interesse. Ma non è il tasso di interesse a muovere i grandi capitali. Sui titoli esistono due forme di profitto possibile. Uno è il tasso di interesse su obbligazioni e titoli o il dividendo sulle azioni. L’altro è la differenza tra prezzo di acquisto e di vendita di un dato titolo, in gergo tecnico il capital gain o guadagno in conto capitale. Ed è questo ad attirare gli speculatori alla continua ricerca di elevati profitti nel più breve tempo possibile. È lì che si possono fare i soldi veri. Chi specula non guarda certo al fatto che in un anno un titolo italiano possa rendere l’1% in più di uno francese, bensì al fatto che può acquistare un BTP a 90 e se è fortunato dopo una settimana lo rivende a 100, realizzando il 10% in pochi giorni per poi spostare i propri capitali altrove.

Questo è il capitalismo finanziario o, se volete, la finanziarizzazione dell’economia contro cui governi nazionali e sovranazionali (gli gnomi di Bruxelles)nulla fanno, volutamente. Allora, assodata da deficienza cronica di un’alternativa costituzionale credibile e seria, si fanno avanti i vari populismi, fra i quali quello di Grillo è il meno inguardabile. Il tempo dirà se da almeno una delle cinque stelle nascerà un antagonismo reale al teatrino dei quaquaraquà che gli italiani hanno dovuto sciropparsi in questi ultimi decenni. In ogni caso ci sarà da “divertirsi come diceva un grande timoniere che non era né italiano, né ligure. “Grande è il disordine sotto il cielo; la situazione è quindi eccellente!”

Carlo Curti, Lugano